Paolo Conte: "I nuovi cantautori? Testi banali e musica povera"

Torna dopo quattro anni di silenzio con un nuovo album (Snob) e un breve ciclo di concerti che parte dall’Europauditorium il 30 e 31 ottobre

Paolo Conte

Paolo Conte

Bologna, 26 ottobre 2014 - Avvocato, ma anche Bologna lei la guarda con una faccia un po’ così? Paolo Conte sorride sornione: «Qui conservo ricordi preziosi e amici musicisti. Jimmy Villotti, innanzitutto. Ci sentiamo spesso per fare il punto della situazione e scambiarci sciocchezze solo per puro piacere. Siamo due anime che si conoscono bene...». A 77 anni ben spesi e ben portati, 40 anni di carriera alle spalle, 26 album realizzati dal ‘74 ad oggi, il musicista che vede i Tropici all’incrocio fra Broni e Stradella torna dopo quattro anni di silenzio con un nuovo album (Snob) e un breve ciclo di concerti che parte dall’Europauditorium il 30 e 31 ottobre (parte dell’incasso della seconda serata sarà devoluto a paziente di ginecologia oncologica).

Conte, sa che Guccini sostiene che non sopporta più il frastuono della città quando scende dall’Appennino sotto le Due Torri?

«Beh, lui è sempre stato un po’ campagnolo, anche se gli piaceva stare nel giro della città. E poi pure io sono andato a abitare fuori Asti e lì ho trovato la mia Pavana. Non mi rendo conto di come sia cambiata Bologna: vengo qui per incontrare il management, per i concerti....».

Che ci fa in campagna?

«Ascolto musica, faccio rebus, leggo gialli soprattutto nordici. Mi entrano in un orecchio e mi escono dall’altro ma sono ben costruiti».

Il suo ultimo cd è un po’ una consacrazione del provinciale?

«In realtà ne parlo solo in una canzone, anche perché mi sono sempre rifugiato dietro l’etichetta di cittadino del mondo. E’ vero però che la provincia aiuta chi scrive a vedere certe storie e certi personaggi in maniera più dettagliata».

Le sue nuove canzoni sono collocate ancor più di quelle storiche in un altrove non solo geografico...

«E’ il solito alibi novecentesco: raccontare storie qualunque ma farle vivere con più teatralità alloggiandole in altri luoghi più difesi».

Perché l’album si chiama ‘Snob’?

«Riprende il titolo di una canzone ed è funzionale al pubblico straniero».

Lei è snob?

«No, casomai dandy. Per me gli uomini si dividono in tre categorie: intellettuali, dandy e snob. I dandy cercano la bellezza in profondità, gli snob in superficie».

Che rapporto ha con smartphone, Internet, nuove tecnologie?

«Nullo, è un linguaggio che non decifro. E poi sono un tipo riservato, non metto tutto in piazza...».

Riparte la tournée. Quanto è noioso ripetere ogni sera gli stessi pezzi?

«Una serata passata suonando è sempre spesa bene».

Cosa pensa dei nuovi cantautori?

«Li conosco poco, ho visto qualche scheggia. Rispetto a quelli storici mi sembrano più improvvisati: testi banali, musica semplice fatta da un paio di accordi. La mia generazione era più colta, partiva da istanze diverse».

Immaginava di toccare i 40 anni di carriera senza mollare prima?

«Non mi sono mai dato scadenze, ho passato periodi creativi ricchi e meno ricchi. In fondo basta che ti metti al piano e ti senti arrivare una canzone. E vai avanti, senza accorgertene».

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