Bologna, 6 ottobre 2010  -  LE IDEE sono sempre lì, lui invece no. «Ho deciso di non autocandidarmi alle primarie», dà infine l’annuncio Duccio Campagnoli. Tutto previsto, nessuno si sorprende. L’ex assessore regionale sceglie di uscire allo scoperto ieri sera, nella direzione del Pd. Sedici minuti d’intervento, la notizia in fondo. Prima un ragionamento molto critico sul percorso scelto dal segretario Raffaele Donini. Informato in mattinata, così fa sapere — dopo — lo stesso Donini. Per uno che non lascia al caso neanche le virgole, quell’«autocandidarmi» suona come: non mi avete sostenuto. Dal partito s’aspettava un «manifesto politico e programmatico». Nella cornice di programma, è l’analisi, mancano «due punti importanti nel rapporto con la città: che cosa vogliamo fare per voltare pagina e con chi vogliamo costruire la nuova città». Si riaffaccia, costante, l’idea bersaniana del Nuovo Ulivo. «Avrei seguito un percorso diverso — rimprovera —. Penso sempre che dovremmo cercare le condizioni per un’alleanza più larga». Poi un passaggio in codice: «Ho imparato a rispettare il messaggio di unità che viene dal nostro popolo come un valore saggio».

DUCCIO se ne va — «vola via», aveva titolato il Carlino l’8 settembre — e Maurizio Cevenini prende — ancora — tempo. Inutilmente Filippo Taddei, giovane e brillante economista che deve abituarsi al rientro in Italia e al Pd, prima di lui aveva provato a rinvigorire la discussione: «Dai, veloci, dai, come diceva il mio allenatore serbo di calcio a cinque. Perché quando provo a spiegare a qualcuno fuori di qui quel che succede, non capisce. Surreale la discussione sul programma senza parlare di candidati». In effetti. Il sindaco dello stadio lo bacchetta: «Il calcio vero è quello a undici. E richiede tempo. Nelle prossime settimane...», comincia a dire il consigliere regionale. Panico in sala. «Volevo dire nei prossimi giorni», si riprende dalla botta di stanchezza il Cev, tutta una giornata di eventi, prima del Pd è stato a parlare di politica con Gianfranco Pasquino. Quindi è affaticato.

ASCOLTANDO l’analisi impietosa di Duccio, Cevenini gli rende l’onore delle armi: «L’ho apprezzato moltissimo». Sul telefonino di Campagnoli arrivano tanti messaggi di stima, ora. Resta il tema aperto di un allargamento che ancora nessuno ha capito come debba essere. Ma per Cevenini c’è «il» punto, prima ancora: la scelta se candidarsi o no. «Scelta particolarmente difficile, coinvolge aspetti personali, la famiglia, voi — cerca il contatto il dirigente piddì —. In totale sincerità, io non ho ancora preso la decisione. Parlerò nei prossimi giorni. Se mi candido alle primarie farò la mia gara. Se non mi candido, sarò quel fedelissimo compagno di squadra che ha sempre dimostrato di correre per l’azienda». Passa Campagnoli e gli stringe la mano, «grazie». Passa il sindaco di Minerbio, Lorenzo Minganti: «Sei il mio idolo, spero di diventare un sindaco come sarai tu». Passa Giuseppe Melucci, «ehi, guru».

MA non c’è tempo per annoiarsi. Piergiorgio Licciardello, capo della minoranza e presidente dell’assemblea Pd — va a testa bassa sul punto dieci delle linee programmatiche, «promuovere i diritti di cittadinanza e la democrazia partecipata». Confessa «l’imbarazzo» per aver trovato «argomenti che non c’erano e non sono stati discussi», come testamento biologico o coppie di fatto. Daniela Vannini, che si occupa di immigrazione e diritti nella segreteria, gli ribatte: «Ne abbiamo discusso in esecutivo. Il Pd su questo non torna indietro». Basterà per far sentire a casa la sinistra radicale? Andrea De Maria, che festeggia i 44 anni in direzione, blinda anche quel passaggio lì: «Dico attenzione, è un risultato raggiunto. Un lavoro finito? Assolutamente no». Emanuele Burgin, assessore provinciale — vuol dire la presidente Beatrice Draghetti — scuote il Cev: «Chiedo a Maurizio Cevenini di candidarsi. Dobbiamo mollare gli ormeggi e prendere il mare aperto». Si raccomanda anche: «Non possiamo essere il partito conservatore della sinistra. Così vince la Lega». Donini si scuote: ha sentito la parola magica.