IN QUESTI giorni la Provincia di Bologna compie 60 anni.  Il 27-28 maggio del 1951  si svolgevano infatti le prime elezioni democratiche dei Consigli provinciali. Alle spalle una lunga storia e un presente intenso di compiti e funzioni.  I compleanni sono anche occasioni di bilanci e riflessioni sul futuro. La felicità delle persone, secondo parte del pensiero classico e moderno, è richiamata quale funzione fondamentale dello Stato. Le Istituzioni quindi non possono che essere orientate  a questo e per farlo devono mettere in campo la capacità di ‘decidere’.

Chi non lo fa abdica alla propria ‘essenza’ e conduce alle retoriche, ormai diffuse anche se discutibili, dell’inutilità delle istituzioni stesse. La Provincia è uno degli attori che gioca il proprio ruolo nell’ambito di un sistema (definito dal legislatore  con la riforma costituzionale del 2001), in cui l’autonomia  di Regioni ed Enti locali è stata apparentemente ‘rinforzata’, ma che manca sia di una razionale distribuzione delle funzioni amministrative  fra i livelli di governo sia della previsione di spazi e strumenti di coordinamento.

LE AMMINISTRAZIONI locali si trovano a fare i conti con processi decisionali ancora particolarmente complessi a causa del permanere o addirittura dell’aumentare dei punti di veto, cioè di quei nodi del sistema in cui i processi decisionali vengono assunti, si condizionano o addirittura vengono annullati e rivisti.
Ciascun attore del sistema, pur perseguendo legittimamente i propri fini istituzionali, può produrre con il proprio ‘veto’ un effetto perverso, non voluto, e cioè l’assenza di cose fatte o il ritardo dei risultati. Penso per esempio ai numerosi procedimenti amministrativi condizionati da pareri obbligatori e vincolanti in capo ad amministrazioni statali o regionali che di fatto spostano il livello decisionale, rendendo l’amministrazione locale mera esecutrice della volontà di altri, come anche ai soggetti che hanno mantenuto un controllo amministrativo o paragiurisdizionale sulla gestione delle amministrazioni locali.

E ancora: realtà non istituzionali come sindacati, associazioni di categoria e gruppi sociali qualificati, che pur rappresentando la ‘linfa vitale’ per decidere al ‘meglio’, possono snaturare il loro ruolo quando si trasformano da punto di consultazione a punto di blocco. Ciò avviene in particolare quando le istituzioni ricercano primariamente il consenso dei propri referenti politici e sindacali. Anche i partiti possono essere attori di veto, non soltanto in ragione della logica del consenso “a tutti i costi” dei propri referenti, ma anche del “gioco” tra maggioranza e minoranza a loro volta spinte a sostenere in ogni caso posizioni divergenti, anche quando è evidente, invece, che il ‘bene comune’ sta in un’opzione unitaria.

In generale tutti i tipi di blocco, di cui ho provato a evidenziare alcuni esempi, derivano anche – e questo è il secondo grande problema - dalla mancanza di una previsione costituzionale di luoghi e tempi per ricomporre il sistema policentrico paritario, in modo da far sintesi di obiettivi e risultati. Terminata la consultazione, acquisite le informazioni e gli interessi in gioco, la decisione deve essere assunta da chi ha la competenza, da un soggetto soltanto, per ricostruirne responsabilità e meriti.
Il mio augurio è dunque, in questo 60° anniversario della Provincia, che livelli e modalità di governo e felicità delle persone siano sempre più intrecciati e compatibili.