Bologna, 24 maggio 2013 - IL REFERENDUM del 26 maggio «ha riabilitato il neomachiavellismo». Stefano Zamagni — economista, portavoce di un comitato a favore del mantenimento dei finanziamenti comunali alle scuole d’infanzia paritarie a gestione privata (quesito B) — rispolvera la citazione attribuita a Niccolò Machiavelli: Il fine giustifica i mezzi.
 

Può spiegare?
«I referendari hanno un fine dichiarato. Anzi, due».
Il primo.
«Abbattere la legge 62/2000 di Luigi Berlinguer, secondo la quale tutte le scuole del sistema nazionale di istruzione svolgono un servizio pubblico».
Il secondo?
«Sollevare un conflitto interno al Pd e alla giunta Merola».
E che c’entra Machiavelli?
«Una premessa: gli obiettivi sono legittimi. Ma non posso, per raggiungere fini di per sé legittimi, usare il referendum, strumento nato per raggiungere altri fini».
Nel concreto?
«Non contesto la legittimità di una richiesta di modifica della legge Berlinguer. Ma non ammetto che si usi il referendum: una legge si cambia in Parlamento».
I referendari, intanto, respingono l’accusa di avere scatenato una guerra anti-religiosa, contro le scuole cattoliche.
«Ma si ostinano, però, a sostenere posizioni laiciste. Che è diverso da laicità, concetto che io difendo».
In pratica?
«Sulle 27 scuole d’infanzia paritarie convenzionate con il Comune, 25 sono cattoliche, due no. Se fosse stato viceversa, nessuno avrebbe chiesto il referendum».
Altra obiezione dei referendari: non siamo statalisti, vogliamo salvare la scuola pubblica.
«Ma non vogliono che, in Italia, si dia applicazione seria al principio di sussidiarietà circolare previsto dall’articolo 118 della Costituzione».
Che dice?
«Che prevede si favorisca l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà».
Invece?
«C’è un rigurgito di statalismo. E non si vuole tenere conto del fatto che le paritarie non sono scuole private, ma fanno parte del sistema pubblico integrato».
Un referendum locale è finito sotto i riflettori nazionali.
«Il fatto è che non è in gioco solo il milione di euro che il Comune dà alle materne paritarie».
Ma?
«Siccome Bologna è Bologna, una città simbolo, se il 26 maggio vincesse il quesito A, anche altre città d’Italia potrebbero seguire l’esempio, riportando il Paese su posizioni che si credevano ormai superate. Perché i referendari non hanno a cuore il bene comune, ma quello di una sola parte, di una particolare visione del mondo».
È così retrogrado chiedere che con i soldi comunali si finanzi la scuola dell’infanzia comunale e statale?
«È chiedere una cosa che neppure nella laicissima Francia si fa più. Parigi finanzia al 100% novemila scuole paritarie. Succede anche in Spagna, in Germania, in Gran Bretagna. Solo qui vogliamo mandare al macero la quantità di risorse messe in campo dalla società civile?».
Se vince il B, dicono i referendari, ci saranno scuole di serie A e di serie B.
«È vero il contrario. Senza il contributo del Comune, la scuole paritarie saranno costrette ad aumentare le rette, escludendo le famiglie a basso reddito, le fasce sociali più deboli. E pensare che si dicono di sinistra...».

Luca Orsi