Bologna, 16 settembre 2013 - Il Comune di Bologna non si dà per vinto sull’Imu. E anche se il Governo non ha intenzione di fare passi indietro sull’abolizione dell’imposta, la Giunta Merola guida ancora un plotone di enti locali che rivogliono l’Imu, almeno in parte. Secondo la vicesindaco Silvia Giannini, con delega al Bilancio, sarebbe quella l’unica soluzione sicura per dare ai Comuni la certezza delle risorse che dovrebbero derivare dall’imposta sulla prima casa.

“E’ lo Stato che ci mette in disavanzo - attacca la vicesindaco - ci toglie la terra sotto i piedi. L’unica soluzione è dare a tutti i Comuni la stessa cifra e lasciare una leva residuale” su cui agire. Tra l’altro, sottolinea Giannini, “se cade il Governo cade anche questo decreto sull’Imu. Ma qualcosa, pure in regime di ordinaria amministrazione, dovrà essere prevista”. L’abolizione dell’Imu, insomma, “anche per il Governo è un sentiero pieno di problemi: qualunque cosa faccia è un empasse di difficile risoluzione”, avverte Giannini, questa mattina in commissione Bilancio di Palazzo D’Accursio.

Detta in breve: se il Governo rimborsa l’Imu prendendo a riferimento solo il gettito 2012, sottolinea la vicesindaco, “si discriminano i Comuni che per necessità hanno alzato l’aliquota quest’anno”. Se invece lo Stato copre l’intero gettito 2013 dell’imposta, “si potrebbe dare un vantaggio a quei Comuni che non hanno ancora approvato il bilancio e che potrebbero deliberare un aumento dell’aliquota al massimo consentito”, ovvero al sei per mille. Anzi, afferma Giannini, “sarebbe una bella provocazione se tutti i Comuni lo facessero”.

Ad ogni modo, ragiona la vicesindaco, c’è un problema di equità, che si potrebbe risolvere “lasciando ai Comuni un leva residuale e la libera scelta se aumentarla o meno”. Allo stesso tempo, lo Stato dovrebbe “dare a tutti gli enti locali la stessa quota di risorse, rimborsando la prima rata calcolata sull’aliquota base”. In questo modo, sostiene Giannini, “si garantirebbe ai Comuni il pareggio di bilancio secondo le previsioni fatte e abbatterebbe di circa la metà l’imposta per i cittadini”. La via d’uscita in questione, in realtà, fu proposta dallo stesso ministero dell’Economia in estate, quando ancora era nel pieno il dibattito nel Governo se e come abolire l’Imu.

Questa stessa proposta era fortemente caldeggiata da alcuni Comuni, primo fra tutti quello di Bologna, che nei prossimi giorni chiedera’ all’Anci di sposare l’idea e prendere posizione.
Finora, del resto, “non abbiamo ancora la certezza delle coperture finanziarie - avverte Giannini - lo Stato si e’ impegnato a coprire il mancato gettito 2013, ma finora non ha preso nessun atto concreto. I miliardi stanziati dal Governo per l’abolizione dell’Imu coprono la prima rata, ma facendo riferimento al gettito 2012”.

Dunque, mancano ancora all’appello i soldi per i Comuni che hanno aumentato l’aliquota Imu quest’anno (come Bologna) e mancano certezze anche sulla seconda rata dell’imposta, discorso rinviato alla Legge di stabilità a metà ottobre. Senza dimenticare che nel 2014 dovrebbe arrivare la nuova “service tax”, di cui non si sa molto. Insomma, ad oggi “non sappiamo se ci viene rimborsato l’intero gettito Imu né sappiamo che imposte avremo l’anno prossimo su cui agire - ribadisce Giannini - non possiamo fare il bilancio”.

Ad ogni modo, passare dall’Imu alla Service tax “è come cadere dalla padella alla brace”. “Se aboliamo l’Imu per poi mettere la Service tax, che è uguale e anzi spalma gli oneri fiscali anche sugli affittuari - avverte la vicesindaco - non è certo il passo verso l’equità che avevamo chiesto. Non vorrei che fossimo caduti dalla padella alla brace.
Non possiamo sostituire l’Imu con una tassa che è più iniqua”. La Service tax si divide in due parti: quella sui rifiuti (Tari), che ricalca l’attuale Tares; quella sui servizi indivisibili (Tasi), il cui imponibile è da calcolare, a scelta dei Comuni, sulla rendita catastale o sui metri quadrati dell’appartamento. A questo, sottolinea Giannini, si lega il problema del catasto. “Va riformato - afferma la vicesindaco - e andava fatto ieri, perché ci vogliono almeno cinque anni per una riforma del catasto. Prima si comincia e meglio è. Se si fosse avviato quando venne annunciato la prima volta, ora saremmo in dirittura d’arrivo”. 

(Fonte Dire)