Premio Mascagni, "Foto vere stampate sulle torte? Così il sogno è diventato realtà"

Lesepidado: è bolognese l’inchiostro che si mangia VIDEO L'intervista a Simone Samoggia

Simone Samoggia (Foto Arminio)

Simone Samoggia (Foto Arminio)

Bologna, 2 settembre 2014 - Avete presente quelle torte di compleanno in cui, anziché ‘Tanti auguri’ scritto con la panna, c’è la foto (vera) del festeggiato? Nel 1998 era il sogno di un chimico industriale, un docente a contratto all’università, un informatico e altri tre amici. Ne parlarono durante un bagno in piscina e decisero di avventurarsi. Dall’unione dei loro nomi è nata Lesepidado: Leonardo, Sem (Simone Samoggia), Piero, Davide e Domenico.

Da dove cominciare, Samoggia?

«Prima di tutto dall’inchiostro edibile, che non esisteva. L’intuizione fu quasi banale: il mercato era pieno di coloranti alimentari, da mischiare agli impasti. Ma perché non pensare allora a degli inchiostri alimentari da mettere in cartucce e applicare poi a una normale stampante?».

Vuole dire che oggi si può stampare su una torta allo stesso modo che su un foglio di carta...

«È la peculiarità dei nostri prodotti. Produciamo coloranti ‘edibili’, ovvero commestibili, e stampanti di varie dimensioni ma simili in tutto e per tutto a quelle che usiamo per il computer di casa o dell’ufficio».

È molto difficile usarle?

«Basta collegare il pc, scegliere l’immagine, posizionare la torta, i biscotti o qualsiasi altro prodotto sul vassoio e avviare la stampa».

Già, e che ci vuole?

«Il duro è stato convincere i colossi dei due mercati interessati: Modecor, leader nel campo delle decorazioni alimentari (che per prima ha creduto in noi e oggi è nostra socia), e Olivetti, all’epoca nome di punta dell’informatica. Ma in ogni caso noi non volevamo metter su un’azienda...».

Puro spirito scientifico?

«Volevamo fare ricerca, e brevettare la prima stampante alimentare a getto d’inchiostro. A lanciarla sul mercato ci avrebbe pensato qualcun altro».

E invece?

«Ci ritrovavamo nel soggiorno di casa mia a modificare le stampanti acquistate in stock, mentre in cucina realizzavamo i coloranti. Mia moglie non ne era felicissima».

Poi si è convinta?

«Di più: si è lasciata prendere anche lei. Oggi dirige la parte commerciale. È merito suo se realizziamo all’estero il 60% di fatturato. Siamo presenti in tutto il mondo, e personalizziamo i nostri prodotti in base al cliente e alle regole dei singoli stati».

Come siete arrivati fino a qui?

«Siamo cresciuti lentamente. Tra la prima stanza presa in affitto a Casalecchio, al piano terra di un condominio, fino alla sede attuale di Osteria Grande c’è stato un lungo e bellissimo percorso per prove ed errori».

Quali errori?

«Passata l’ubriacatura per i proventi del primo brevetto, arrivarono i tempi duri. Capimmo allora la differenza tra una buona idea fine a se stessa e un’impresa capace di proiettarsi al futuro. Ci dotammo allora di un vero approccio industriale, con l’ingresso tra i soci di Claudio Cotti, l’attuale direttore finanziario. E piano piano cambiammo approccio. Pur rimanendo a nostro modo, un po’ anomali».

In cosa?

«Siamo ottimisti, ci piace collaborare con chiunque abbia una buona idea e ci divertiamo a metterci in gioco».

Con cosa giocherete in futuro?

«Con LeBot. La presenteremo al Sigep di Rimini. È un robot 3D, in grado di stampare sui dolci a tre dimensioni: permetterà ai pasticcieri di trasformare un disegno in realtà»

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