Dalle passerelle alla fabbrica, la sfida vinta dell’ex modella / VIDEO

Premio Mascagni. Vicky Galliani da 30 anni a capo della ‘Fabio Leonardi’

Vicky Galliani, alla guida dell’azienda Fabio Leonardi di Anzola Emilia

Vicky Galliani, alla guida dell’azienda Fabio Leonardi di Anzola Emilia.

Bologna, 18 aprile 2017 - Eleganza da modella e mani sporche di grasso. Che stile Vicky Galliani, da trent’anni alla guida della Fabio Leonardi srl, leader delle macchine per conserve alimentari. Ne aveva poco più di 40 quando, scesa dalle passerelle, avviò la sua seconda vita da fotografa, coreografa e maestra di portamento. Poi il destino le portò via suo marito, Fabio Leonardi (omonimo del nonno che nel 1917 fondò l’azienda di tritacarni e spremipomodori) e la modella si ritrovò in officina.

Galliani, come andò?

«Un’istruttoria del tribunale sancì che, avendo io due figli che di cognome facevano Leonardi, ancora minorenni, avrei dovuto portare avanti l’impresa di famiglia per loro conto».

Così entrò in fabbrica.

«E non appena entrai io andarono via un bel po’ di dipendenti, indignati».

Si licenziarono?

«Beh sì, d’altronde fui il primo caso di donna in un’impresa meccanica, anzi alla guida dell’azienda. Per di più una che fino a poco tempo prima faceva la modella».

Cosa fece?

«Piangendo mi attaccai alle macchine, per imparare a usarle, perché il mio posto non è mai stato dietro la scrivania».

Come superò la diffidenza?

«Lavorando duro, e dimostrando che ero capace di sporcarmi le mani».

E i clienti?

«Girai l’Italia per presentarmi a distributori e rappresentanti, e trovai solo porte chiuse».

Chi le aprì?

«Un distributore di Lamezia Terme stava subendo lo stesso trauma, con la morte del titolare. Il figlio mi disse: ‘So come ci si sente, perché dovrei abbandonarla?’. Collaboriamo tuttora».

Dopo la diffidenza, il nemico fu il consumismo.

«C’è stato un periodo in cui molte famiglie smisero di fare le conserve in casa. Ma tutto torna, e la ritrovata attenzione verso il cibo di questi ultimi anni ha fatto impennare le vendite».

E dopo il consumismo, i cinesi...

«Il nostro spremipomodori e il tritacarne hanno subito infiniti tentativi di imitazione. Non sapendo competere sulla qualità, la concorrenza ci prova col prezzo, ricorrendo alla plastica. Ma solo la ghisa riesce ad assicurare condizioni igieniche ottimali. E noi sappiamo come trattarla».

Il segno del suo passaggio?

«Una macchina spremi-pomodori manuale e un’attenzione al design che prima non c’era. Le macchine erano nude, basilari. Io le ho rivestite, ne ho curato lo stile».

Di cosa è soddisfatta?

«Quando morì mio marito tutti diedero all’azienda pochi mesi di vita. Invece negli ultimi 30 anni abbiamo realizzato i risultati migliori di sempre. Oggi esportiamo in tutto il mondo, da poco anche in Giappone».

Progetti per il futuro?

«Lo chieda ai miei figli. Io dovevo solo portare l’azienda fino ai 100 anni. Lo dovevo ai Leonardi, famiglia di inventori, e a mio marito». Tira fuori un rotocalco di moda anni ‘70, con se stessa giovanissima in copertina. «I cento anni cadono quest’anno. Ecco fatto».