Dalla toga al cinema, Labanti si racconta. Guarda il video

Diversi i premi vinti dal regista bolognese: “Ma non chiamatemi artista”

Bologna, 28 gennaio 2016 - Davide Labanti, 38 anni, bolognese, regista. E anche bravo a quanto pare, visti i numerosi premi e riconoscimenti. Ha un piglio deciso e idee molto chiare, anche se le esprime con garbo e pacatezza.

In una città che con il cinema ha un rapporto vivace e che possiede un’eccellenza tecnica come la scuola di restauro, Davide vorrebbe di più.

A mancare, secondo lui, è un nuovo canale di produzione per la settima arte, un polo che produca e distribuisca cinema di qualità, un’alternativa valida alle produzioni mainstream. A questo scopo si sono dedicati negli ultimi anni tanti giovani cineasti come lui, intraprendendo con entusiasmo un lungo percorso che, dal progetto dei “cineasti arcobaleno”, è approdato alla notevole realtà del Kinodromo. Quello su cui Davide vuole porre l’accento non è la cultura in senso lato né tantomeno una visione politica del cinema. Il punto sarebbe il cinema stesso, con i posti di lavoro che genera, il pubblico che sa emozionare e con la sua anima artigianale. Perché il regista è un sarto che cuce storie, non un maestro di vita e pensiero. Più Omero che Platone, dice lui.

Descrivi in poche parole ciò che fai.

“Sono un regista cinematografico e, permettimi di precisarlo, non un film-maker né uno youtuber. Per me essere un regista significa lavorare in squadra, con professionalità, per realizzare un prodotto che non imiti lo stile televisivo e che sia il frutto del lavoro condiviso del mio team, a prescindere dal budget disponibile”.

Come sei arrivato alla regia?

“Sono laureato in Giurisprudenza, ho tentato la strada dell’avvocatura e del giornalismo poi, a quasi trent’anni, ho frequentato un corso di cinema alla scuola Rosencrantz&Guildestern e ho trovato la mia strada. Ho iniziato con i corti, tra Roma e Bologna, solo con le mie forze, e oggi ne ho fatto un mestiere, tanto che sto lavorando al mio primo lungometraggio”.

Parlaci del tuo rapporto con Bologna.

“Sono bolognese di nascita e adoro la mia città. Dopo essermi scoperto regista ho lavorato a Roma per quattro anni ma Bologna mi ha richiamato a sé. La nostalgia ha fatto il suo poi, senza preavviso alcuno, mi sono ritrovato in prima linea nelle esperienze di “Santa insolvenza” e del Kinodromo, ed ora sono qui”.

Il tuo progetto più riuscito?

“Ne citerò due. Il corto “L’impresa”, con il quale sono stato il terzo regista bolognese consecutivo a vincere il R.I.F.F. a Roma, è stato il mio primo film concepito per competere in rassegne importanti ed è stato selezionato ai Nastri d’Argento e ai Globi d’Oro. Poi la serie “Status”, vincitrice al Milano Film Festival nella sezione “Are you series?”, girata a sei mani insieme a Margherita Ferri e Renato Giugliano”.

Come vedi il futuro?

“Spero di poter proseguire su questa strada nonostante le mille difficoltà. Il mio è un settore difficile, competitivo, nel quale i nuovi mezzi di comunicazione stanno rivoluzionando, non necessariamente in senso positivo, il bagaglio di competenze richieste ad un regista, il mezzo stesso e le aspettative del pubblico. Mi ripeto sempre che chi osa vince”.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro