Si svela il rifugio del cardinale, un riparo per centinaia di bolognesi

Villa Revedin, visitabili per la prima volta le gallerie usate in guerra

Un'immagine del rifugio

Un'immagine del rifugio

Bologna, 14 agosto 2015 - La certezza storica non c’è, ma molto probabilmente sotto quelle gallerie si nascose anche l’allora cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca. Di sicuro, nel rifugio antiaereo di Villa Revedin si salvarono dalle bombe centinaia di persone: non solo i collaboratori del prelato, ma anche i malati, i medici e gli infermieri dell’ospedale ‘Putti’ voluto proprio da Nasalli Rocca all’interno del seminario, e tanti cittadini comuni in fuga dalle ville private vicine.

Oggi e domani, per la prima volta, il rifugio riapre le proprie porte, all’interno del programma del ‘Ferragosto a Villa Revedin’. Visitarlo sarà un’opportunità senza precedenti e un assaggio delle visite guidate che l’Associazione Amici delle Acque sta organizzando a partire da settembre. Per questi due giorni, dunque, si tratterà solo di preaperture di qualche ora con incursioni di pochi minuti, senza necessità di prenotare: «Dobbiamo ancora liberare le gallerie dal materiale che si è accomulato in questi anni, ma l’esperienza sarà comunque emozionante», assicura Massimo Brunelli, vicepresidente dell’associazione.

Il rifugio fu probabilmente realizzato tra il 1939 e il 1942 e poteva ospitare circa 350 persone. Era uno dei circa 8mila costruiti in città: molti dei quali cantine che, dopo la guerra, sarebbero tornate al loro uso originario, ma alcuni, come quelli del Pincio o di piazza Carducci, rappresentano ancora gioielli sconosciuti del sottosuolo bolognese che l’Associazione sta per riaprire al pubblico.

«Il rifugio di Villa Revedin presenta alcune particolarità», spiega Brunelli: «Ha tre uscite, una nel seminario dove oggi si trova la grotta della Madonna di Lourdes, un altro costruito appositamente, e l’ultimo realizzato all’interno di un’antica conserva del ’700». E proprio da lì si uscirà al termine dell’inedita visita: «Quando completeremo i lavori, saranno visibili anche le due incisioni nella grotta – aggiunge Brunelli –: una del 1943 e l’altra del 1882, che porta il nome di don Selvatici, probabilmente passato in zona». Nel frattempo, però, sono visibili le altre incisioni lasciate durante il periodo bellico sulle pareti e i segni del muro antisoffio. Riassaporando, così, l’atmosfera di paura e sospensione che si doveva respirare ogni qualvolta che suonavano le sirene sparse in tutta la città.

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