Bologna, 9 dicembre 2010 - Individuata una base genetica comune a infarto cardiaco e Alzheimer. La ricerca apre così le porte al primo test genetico sul rischio di sviluppare, anche in età precoce, le due malattie. Il test sarebbe addirittura a portata di mano secondo Federico Licastro, l'immunologo dell'Università di Bologna che ha coordinato lo studio, in pubblicazione sulla rivista scientifica Journal of Alzheimer's disease. «In America c'è già chi si è messo a venderli» dice, citando il caso di un'azienda privata del New Mexico (Usa) cha ha collaborato allo studio. «Ma sono test che potremmo facilmente fare anche qui in Italia. Basta un prelievo di sangue».
 

Alzheimer e infarto sono malattie tutt'altro che rare. L'Alzheimer è la forma più frequente di demenza senile: entro gli 85 anni ne viene colpita una donna su cinque e un uomo su dieci. L'infarto invece, che insieme ai problemi cardiovascolari è uno dei disturbi più diffusi e una delle principali cause di morte, interessa circa il 12,5 per cento della popolazione. Sulla relazione tra le due malattie - ricorda in una nota l’Ateneo di Bologna - finora non si sapeva un gran che. Vero è che alcuni dati epidemiologici sembravano già suggerire un qualche legame. Ad esempio, i problemi alle coronarie erano stati associati ad una maggiore frequenza di Alzheimer, così come l'ipertensione, il colesterolo alto, il diabete e altri fattori di rischio tipici dei problemi cardiovascolari. Si sapeva inoltre che alcuni geni che controllano i processi infiammatori e il metabolismo del colesterolo avevano a che fare sia con l'Alzheimer, sia con l'infarto.
 

Quello che hanno fatto i ricercatori è stato esaminare il Dna di 1800 persone (280 colpite da infarto, 257 da Alzheimer, e 1307 sane, come gruppo di controllo), sulle tracce di fattori genetici di rischio comuni alle due malattie.
E la loro indagine ha avuto risposta positiva: c'è una sovrapposizione tra il rischio congenito di incappare nell'Alzheimer e nell'infarto. Questa predisposizione genetica comune è stata riscontrata nel 30 e nel 40 per cento dei malati rispettivamente di infarto e Alzheimer.

Per giungere a questa conclusione, gli studiosi hanno suddiviso l'intera popolazione testata in sei gruppi connotati da diversi livelli di rischio. Basso per i gruppi uno, due e tre: ma nel secondo e terzo è basso solo prima dei 65 anni. Alto per i gruppi quattro, cinque e sei. Nel cinque, il rischio è alto solo per l'infarto (da 55 anni in avanti); mentre il quattro e il sei sono proprio i gruppi su cui più si sono concentrate le attenzioni dei ricercatori: sono entrambi ad alto rischio sia per l'infarto (prima dei 40 anni nel gruppo quattro e tra i 40 e 54 nel gruppo sei), sia per l'Alzheimer (prima dei 65 anni nel quattro, e oltre i 65 nel sei). Sono proprio questi ultimi due gruppi a presentare la predisposizione genetica comune.


«Finora, si conoscevano solo singoli geni associati alla due patologie, e questo non consentiva la messa a punto di un test individuale sul rischio», spiega Licastro. «Ora, invece, siamo riusciti ad identificare un profilo genetico parzialmente comune, caratterizzato dalla presenza di diversi geni. E' questo il salto di qualità che ci consente di effettuare il test e valutare un profilo in parte specifico per le due diverse malattie».
In base al risultato del test, ad esempio, si potrà decidere se procedere o meno al monitoraggio della situazione tramite controlli regolari ed esami medici più approfonditi, sostengono i ricercatori. La base comune delle due malattie, inoltre, dice qualcosa di più sulla loro origine. «Il cuore del profilo genetico dei soggetti ad alto rischio ? spiega Licastro - è costituito da geni coinvolti nella sintesi e nel trasporto di colesterolo e nel controllo dell’infiammazione, che sembrano quindi essere alla radice di entrambi i disturbi». Accanto ai controlli, si apre quindi la possibilità di definire stili di vita appropriati che favoriscano la prevenzione, non solo dei problemi di cuore e circolazione, ma anche di Alzheimer.
L'ingrediente tecnico che ha consentito il successo dello studio rischia però di essere, come ammettono gli stessi ricercatori, anche il più controverso. Per studiare il Dna dei loro pazienti, si sono infatti avvalsi di un'innovativa tecnica statistica, chiamata grade of membership analysis.
 

Questo approccio, sebbene già applicato nello studio di altri problemi, dai melanomi alla schizofrenia, è ancora dibattuto all'interno della comunità scientifica internazionale. «E' però proprio grazie a questo tipo di analisi statistica - dice Licastro - che abbiamo la possibilità di studiare queste malattie prendendo in esame anche solo alcune centinaia di casi. La statistica classica ne richiederebbe 10mila, 12 forse anche 20 o 30mila.» Il professor Federico Licastro e il suo gruppo, tra cui le giovanissime Elisa Porcellini e Ilaria Carbone, continueranno ad approfondire la questione, alla caccia di nuovi legami genetici tra le due malattie.