«Il mio amore per il Giglio in cinquemila scatti»

La velista Serena Galvani fotografa la rinascita (FOTO) di Massimo Vitali

Serena Galvani fotografa la Costa Concordia

Serena Galvani fotografa la Costa Concordia

Bologna, 13 luglio 2014 - «È come se un’onda mi fosse entrata dentro: io l’ho solo seguita per vedere dove andava a finire...». Detto da una velista, è una metafora più che calzante. Anche se questa è la storia di una velista si è trasformata in fotoreporter  per raccontare come anche la più orribile delle tragedie possa tramutarsi in una formidabile occasione di riscatto e speranza. Il bernoccolo della fotografia Serena Galvani (bolognese e laureata in Lettere Moderne) ce l’ha da quando, a quattordici anni, vinse il primo concorso fotografico. Ma quando all’indomani del 13 gennaio 2012 i giornali e e le televisioni di tutto il mondo hanno puntato i riflettori sulla tragedia della Costa Concordia che l’ineffabile comandante Schettino ha portato a sbattere sullo sperone del Giglio col suo carico di 32 morti, dentro Serena è scattata una molla che l’ha portata a fare armi e bagagli e a trasferirsi sull’isola per documentare, con i clic della sua macchina fotografica, due anni e mezzo di cadute e rinascite, di drammi e speranze.

Dottoressa Galvani, partendo da dove?

«Il primo input è stato da addetta ai lavori. Da velista mi sono chiesta: come ha potuto verificarsi un simile incidente?».

E si è data delle risposte?

«No, anche se in questi trenta mesi di presunte verità ne ho sentite tante. Ma arrivando al Giglio nei giorni successivi alla tragedia ho capito subito che non erano quelle le risposte che stavo cercando. C’erano dei morti dentro una nave, una folla disorientata di sopravvissuti, la macchina dei soccorsi, i familiari disperati. E ho avvertito il bisogno di scattare foto per raccontare un dramma di cui si percepiscono le proporzioni solo stando lì, a un metro dalla rocchia maledetta».

In tanti, sciaguratamente, ci sono andati per raccogliere un souvenir.

«E quello è stato uno schiaffo di cui ancora porto i segni. Il turismo della tragedia è qualcosa di inconcepibile: ho visto scolaresche in gita posare per una foto con lo sfondo della Costa Concordia inclinata, quando ancora dentro la nave si cercavano gli ultimi corpi».

Il volto peggiore della cosiddetta umanità.

«Che però ha saputo convivere anche con un messaggio di speranza. Mentre ero lì, con il passare delle settimane, qualcosa è cambiato: la grande negatività della tragedia ha lasciato spazio a un’opera di cooperazione internazionale che ha messo insieme energie e competenze inimmaginabili. Qui al Giglio ci sono uomini che tutti i giorni si calano con le funi lungo le pareti di cassoni alti trenta metri (quelli utilizzati per il ‘rigalleggiamento’ della nave, che dovrebbe iniziare proprio domani; ndr) che non hanno nulla da invidiare agli equilibristi del ‘Cirque du Soleil’. E molti di loro sono emiliano-romagnoli».

Il messaggio di questa storia?

«Al Giglio oggi si sta facendo qualcosa di grande, che riscatta il male assoluto di quel 13 gennaio 2012».

E lei che ruolo ha recitato in tutto questo?

«Ho già scattato cinquemila foto e chissà quante saranno quando la nave arriverà al porto di Genova per la demolizione. Vorrei fare un libro fotografico e una mostra, per raccontare un’esperienza che mi ha cambiata».

Da velista che cosa si augura?

«Che dopo la rimozione della nave il Giglio torni a essere il Giglio: un’isola con fondali meravigliosi, un micro-clima unico, gente ospitale e un’anima speciale. A quel punto anch’io potrò tornare nella mia Bologna».

Massimo Vitali

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