Bologna, 27 luglio 2012 - Torna l’attesa serata con il cinema di Bollywood in piazza Maggiore. Per il cartellone di Sotto le stelle del cinema, la Cineteca di Bologna lancia un nuovo appuntamento con la cinematografia indiana, e lo fa questa volta con un’anteprima nazionale (grazie alla collaborazione di BIM Distribuzione), domani, sabato 28 luglio, alle ore 21.45, in Piazza Maggiore: il documentario che attraversa l’intera storia del cinema bollywoodiano, Bollywood: The Greatest Love Story Ever Told, diretto da Rakeysh Omprakash Mehra e Jeff Zimbalist, e presentato nel 2011 al Festival di Cannes.

 


Presentazione di Tejaswini Ganti, docente di Antropologia alla New York University:
“ Il termine ‘Bollywood’ nasce dall’unione di ‘Bombay’ e ‘Hollywood’ e contrassegna una parte della cinematografia indiana in lingua hindi che ha base produttiva, appunto, a Mumbai (ex Bombay). È una delle industrie cinematografiche più ricche e fiorenti al mondo, che nulla ha da invidiare alla quasi omonima statunitense quanto a vastità di pubblico e di mercato. Eppure assai poco conosciamo di Bollywood e dei suoi film, che molto raramente riescono a trovare uno spazio all’interno della nostra distribuzione. Si tratta di un cinema di matrice fortemente popolare, e profondamente legato alla tradizione cultuale indiana, ascrivibile nella sua totalità al genere musical, con numeri danzati e cantati che scandiscono imponenti narrazioni incentrate su intrecci amorosi e melodrammatici.

 

Uno spettacolo travolgente e variopinto che il documentario di Rakeysh Omprakash Mehra e Jeff Zimbalist traduce sullo schermo attraverso un montaggio di sequenze che attraversa l’intera storia del cinema bollywoodiano, il meglio dalle origini a oggi, dal bianco e nero al colore, con interviste a registi e alle acclamatissime star. Per far comprendere le radici storiche e culturali di questo cinema e i motivi del suo incredibile successo.

 

Le canzoni sono utilizzate come veicolo primario per rappresentare la fantasia, il desiderio, la passione. Una situazione ricorrente che è divenuta un cliché è quella dei personaggi che cantano e ballano sotto la pioggia. La pioggia è sempre stata investita di un significato erotico nella mitologia, nella musica classica e nella letteratura indiane, in quanto associata alla fertilità e alla rinascita. Utilizzate in molti film nel corso degli anni, queste sequenze spesso estremamente erotiche – con gli abiti bagnati aderenti ai corpi – sono parte di un elaborato sistema di allusioni, piuttosto che di rappresentazione esplicita della sessualità e dell’intimità fisica, in quanto i registi devono farsi largo tra il conservatorismo del pubblico e i limiti rappresentativi imposti dallo stato attraverso i codici di censura. Oltre a esprimere emozioni intense e intimità fisica, le canzoni sono frequentemente utilizzate per favorire il passaggio del tempo o per evocare i ricordi: i bambini possono diventare adulti nel corso di una canzone, un personaggio può essere trasportato in un’epoca precedente. Le canzoni possono contribuire alla caratterizzazione quando sono usate per introdurre gli attori principali in un film. Ma sono anche un modo per esprimersi in maniera indiretta, grazie al quale i personaggi possono comunicare pensieri e desideri che sarebbe inappropriato manifestare esplicitamente. Per esempio, un uomo può cantare il tradimento della sua amante dinnanzi a lei e al marito in un’occasione pubblica senza che il marito sospetti di nulla.

 

L’espressione più comune con cui la stampa indiana descrive le sequenze con canzoni coreografate è “correre intorno agli alberi”. Questa frase è usata incessantemente in riferimento alle canzoni d’amore dei film in cui la coppia protagonista si mette a cantare in ambienti pittoreschi come giardini, prati, e foreste, lontani dalla reale ambientazione del film, spesso con continui cambi di costume, e a volte con decine di ballerini sullo sfondo. Questa propensione per i paesaggi silvestri, pastorali, così commentata e ridicolizzata, ha un’origine molto funzionale: nei primi anni del sonoro, prima delle tecniche del cantato in playback e del doppiaggio, quando il suono era registrato direttamente sul set, il modo più semplice per nascondere musicisti e microfoni era usare cespugli e alberi come mimetizzazione”.