Bologna, 19 ottobre 2013 - Franco Cardini, 73 anni, quarantasei vissuti da storico. Venerdì prossimo riceverà il Premio intitolato a Jacques Le Goff, grande medievista francese e uno dei maggiori rappresentanti della scuola delle Annales. Cardini, studioso delle Crociate, dell'Islam e tanto altro, è professore emerito presso l'Istituto italiano di scienze umane, la Scuola normale di Pisa, l'École des hautes études en sciences sociales di Parigi e Harvard.

Cardini, quella dei giovani di oggi si può definire una generazione senza storia?

«A cosa si riferisce?».

La storia la studiano a scuola ma vivono immersi in un presente scandito dai social network e dalla comunicazione rapida.

«È vero ma c'è una spiegazione».

Comincia così un lungo excursus in cui la tesi dell'intervistatore invece che essere premessa diventa conseguenza. Se siete interessati, proseguite. Sentiamo...

«Noi, l'Italia intendo, non siamo più soggetto della Storia ma oggetto».

Cioè?

«Un Paese occupato da tante basi militari non può interessarsi di politica estera. La politica estera si fa quando si ha coscienza e potere d'intervenire. Braudel diceva che il disinteresse per la politica estera equivale a non curarsi se la casa del vicino va a fuoco. Ma poi brucerà anche la tua».

Come nasce il disinteresse?

«Se non pensiamo alle conseguenze del Canale di Suez sull'Unità d'Italia, passata dall'alleanza coi francesi agli inglesi e quindi a una sudditanza nel Mediterraneo, ci ritroveremo, come adesso ci ritroviamo, sulla linea del fuoco, sul confine, senza neanche sapere come è successo».

Coi ragazzi come la mettiamo?

«Cosa gli interessa, il passato? Ma perché? Gli interessa il presente? Vedono arrivare gli immigrati; gli interessa capire questo fenomeno? In genere cambiano canale».

Perché? Ce lo spieghi lei.

«Non hanno idea di cosa sia una progettualità sociale. Vivono un non futuro e quindi un non presente».

Non sarà certo colpa loro... E poi la Storia cosa c'entra?

«Una società che ha un progetto per il futuro ha sempre bisogno di radicare questo progetto in un passato».

E arriviamo all'uso strumentale della Storia.

«La storia non è una scienza esatta. Quando Erodoto parte per raccontare le guerre greche d'Asia, non solo vuol ricostruire gli avvenimenti ma vuol dare ai greci una ragione di quel ch'era accaduto. Per i latini la storia era l'opus magnum e serviva ai retori per persuadere l'uditorio».

Giochiamo a carte scoperte...

«Ma certo. La storia è quanto più efficace tanto più forti sono le ragioni di quella società che si serve del passato per interpretarlo».

Due esempi.

«Unità d'Italia e Fascismo. Si ricorda quello che diceva: prima bisogna fare l'Italia, poi gli italiani? Bene. Concluse le operazioni militari, bisognava trovare delle ragioni per dare un destino unico a popoli fino ad allora separati».

E col Fascismo?

«Mussolini attinse a piene mani al glorioso passato romano come modello per le conquiste sociali e coloniali».

Risultato?

«Il costo da pagare in termini di verosimiglianza storica è stato altissimo in entrambi i casi».

Però c'era un progetto dietro...

«Esatto. Se voglio fare una capanna serve poco, se voglio costruire un palazzo di cinque piani devo scavare molto più a fondo».

Oggi non abbiamo un progetto di società.

«Manca l'interesse per se stessi, per la propria identità»

L'ignoranza del passato non solo nuoce alla conoscenza del presente, ma compromette, nel presente, l'azione medesima (Marc Bloch).

«Nulla di più vero. Il Partenone, la Primavera del Botticelli o le grandi invenzioni del passato non vengono studiati per se stesse ma perché sono modelli di un impegno originale. Quando i modelli cadono, cade la propria sovranità, cade tutto».

L'impietosa conclusione è...?

«Che per dare un progetto a una società è necessaria un'energia intellettuale e politica che a tutt'oggi non si vede. Niente futuro, niente Storia».

 

di Massimo Gagliardi