Bologna, 29 marzo 2014 - PER NIENTE facile la storia dei King Crimson. Un’avventura nata nell’alveo del prog e cresciuta in quello della ricerca, dominata per quarantacinque anni dal dogma di Robert Fripp e dal suo dispotico concetto di band che lungo il cammino ha finito con attrarre un incredibile plotone di alfieri pop-rock. Tre fra più celebrati di sempre — Adrian Belew, Tony Levin, Pat Mastelotto — planano domani all’Auditorium Manzoni alle 21 per dare vita con Markus Reuter, Tobias Ralph, Julie Slick, a The Crimson ProjeKCt, esperienza nel segno di Discipline e Thrak benedetta dallo stesso Fripp. Se è vero, infatti, che nel 1969, con l’epocale album d’esordio In the court of the Crimson King, la band inglese contribuì a codificare come nessun’altra l’idea di progressive è altrettanto vero che nei decenni successivi ha continuato a reinventarsi senza sosta su e giù dal palco. Tredici album in studio, venticinque live, e un numero imprecisato di registrazioni pirata, ne offrono congrua testimonianza.

La stessa formula del doppio trio con cui il ProjeKCt si presenta domani sul palco altro non è che un’evoluzione di quella sperimentata dai Crimson tra il ’94 e il ’97. Anche se il filo logico dell’esperimento di Belew, Levin e Mastellotto passa necessariamente attraverso quei ProjeKCts che dal 1997 in poi hanno caratterizzato la vita parallela di Fripp lontano dai re cremisi. A parlarne è il chitarrista Adrian Belew, arrivato a corte con Levin nell’81 in quella che gli iniziati definiscono King Crimson IV, vale a dire la quarta reincarnazione della band.

Nel ProjeKCt trovano spazio tre band (e tre repertori) strettamente interconnessi fra loro: King Crimson, Adrian Belew Power Trio e Stick Men. Giusto?
«Esatto. Tre anni fa, per il trentesimo anniversario del nostro ingresso nei Crimson, io e Tony abbiamo pensato di mettere insieme un progetto che omaggiasse la musica della band ma pure quella delle formazioni che avevamo messo in piedi individualmente fuori da essa».

Tutti e tre siete siete nei Crimson dagli anni Ottanta. Che sensazione vi fa suonare in scena cose dei Settanta?
«In tre decadi abbiamo eseguito quei pezzi svariate volte. E la presenza di Fripp ci ha permesso di raggiungere con loro una totale confidenza. Così, mettendo in piedi uno spettacolo celebrativo come questo, abbiamo pensato di soddisfare pure le attese dei fans dei King Crimson anni Settanta. Anche se la presenza di sei musicisti ci consente di trovare al grande repertorio della band pure nuove sfumature».

C’è spazio anche per una rivisitazione de ‘L’uccello di fuoco’ di Stravinsky.
«Lo fa Tony con in suoi Stick Men. E la sua è una versione piena d’energia».

Di fatto voi tre incarnate la settima formazione dei King Crimson VII senza Fripp.
«Già, ma senza Robert i King Crimson non esistono. Gli abbiamo chiesto se aveva nulla in contrario a questo nostro progetto e lui ne è stato così felice da scegliere personalmente il marchio Crimson ProjeKCt».

Perché allora Fripp l’ha esclusa dai King Crimson 2014? L’ottava formazione della band in campo il prossimo autunno con disco e tour?
«Robert mi ha parlato della nuova fisionomia che voleva dare al gruppo; tre batteristi al centro della scena e altri quattro musicisti alle loro spalle. Formazione molto sperimentale, da portare in tour, forse solo per un mese, in America con un repertorio focalizzato sugli anni Sessanta-Settanta e quindi anteriore al mio arrivo nella band».

Sarà stato un poí amaro per lei accettare questo nuovo stato di cose.
«Certo, dopo trent’anni mi ha fatto un certo effetto rimanere fuori.
Rispetto però i desideri di Robert. Ovvio che avrei voluto proseguire il cammino con lui e con gli altri, ma non nutro rabbia nè risentimento. Va bene così».

Quali sono ora i suoi progetti?
«Intanto, a grande richiesta, ci sarà un’appendice del Crimson ProjeKCt in luglio. E poi c’è Flux, il progetto musicale a cui lavoro da tre anni con Daniel Rowland dando vita a qualcosa di completamente inedito: creare una musica che non è mai la stessa e che quindi riesce a sorprenderti ogni volta che attacco la spina».

Andrea Spinelli