Cesare Cremonini compie 37 anni: "Amo la musica"

Il cantautore: "La mia ispirazione? Suonare per ore"

Cesare Cremonini, il suo sesto album uscirà a novembre 2017

Cesare Cremonini, il suo sesto album uscirà a novembre 2017

Bologna, 27 marzo 2017 - Ironico. Serio. Curioso. Affabulante. Aperto. Diretto. Acuto. Ospitale. Equilibrato. Discreto. Scrupoloso. Pignolo. Nella sala di regia di Mille Galassie, studio di registrazione che si è fatto costruire a Casalecchio, Cesare Cremonini, grande popstar italiana, si racconta alla vigilia del 37° compleanno, che cade oggi. Vasto lo spartito della conversazione.

Come festeggia?

«Lavoro al nuovo album, previsto a novembre. Così, dopo, avrò la coscienza a posto per divertirmi. Una cena con una trentina di amici. Ma per prima cosa andrò all’ospedale a trovare mio papà Giovanni».

Da dove viene la sua passione per la musica?

«La mia è una famiglia medio borghese, babbo medico e mamma insegnante di Lettere, non ho grandi storie da raccontare. La mia sfida è stata diventare musicista. Sono stato il primo a importare la musica in casa. Suonando da bambino Beethoven e Bach al piano, poi seguendo le lezioni di suor Ignazia dalle Figlie del Sacro Cuore di Gesù. Volevo fare il comico, mi piace riuscire a far ridere il pubblico. Non so da dove nasca una musica capace di accogliere la vita. Una volta, da piccolo, in vacanza al Sud, vidi un un pianoforte in una casa, mi infilai dentro sfuggendo alla mamma e cominciai a suonare, e lei non mi trovava. La musica mi aveva rapito».

Che cosa ricorda dello straordinario successo raggiunto nel 1999 con i Lùnapop, tutti appena 19enni, e con brani come 50 Special e Un giorno d’amore seguiti dall’album ‘...Squérez?’?

«Intanto significa che sono sulla breccia da oltre 15 anni. Ci esibimmo per l’ultima volta nel 2001. Da un gruppo è necessario uscire, come dalla famiglia. Non rivango niente, è un passato remoto di cui devono restare solo le canzoni».

Studio, esercizio, ossessione, ripetitività. Perché lei li indica spesso come i suoi quattro punti fermi?

«Non ho il talento di Chopin, e non ci sono tanti geni in giro. Il mio metodo è essere sempre concentrato, stare al piano per ore così da cogliere il momento dell’ispirazione. Oggi sono una popstar nazionale, è quello che volevo, e dei più giovani non ne vedo. Non ci sarei mai riuscito senza l’incontro – fu nel ‘96, per caso – con Walter Mameli, il mio produttore, manager e soprattutto amico».

Qual è il suo rapporto con Bologna, di cui scrive, in Piazza Santo Stefano, che è una città che non si sfida e non si fida né dei santi né dei folli?

«E’ la mia insostituibile rete di protezione. Ma l’atmosfera ipersentimentale di cui l’avvolgono i bolognesi è un pregio e un limite insieme. Non sfidarsi è male. Niente è più utile che mettersi in discussione. Dico un paradosso: vorrei poter parlare male di Bologna senza essere tacciato di antipetronianità. Non dirò mai una cosa cattiva di Bologna anche perché qui siamo sul Carlino, il giornale di tutti bolognesi...».

Al Carlino lei è stato ‘direttore per un giorno’, nel marzo 2015...

«Non subisco il fascino delle grandi redazioni. Ma è stato molto interessante capire come nascono le notizie che leggeremo».

C’è qualcosa che vorrebbe fare per Bologna?

«Da ingenuo presuntuoso vorrei poterne parlare tanto, raccontarla al meglio, non solo per i Colli, ma per il suo essere una bolla che ti protegge, fatta di semplicità, di colori tenui, di profumi particolari. Nel frattempo ho aperto, in via Orfeo, l’Osteria del Tigre, un angolo di ottima cucina, dove sentirsi coccolati. Ci vado nei fine settimana, se non ho impegni».

Bologna è anche fede sportiva. Fortitudo o Virtus?

«Fortitudo da sempre. Poi naturalmente i rossoblù. E Baggio e Valentino, che sono i miei grandi numeri 10».

Che età sono 37 anni?

«Un passaggio, tra la voglia di crescere ancora o di tornare ragazzino. Piccoli rimpianti e futuro».

Mai pensato a un futuro di matrimonio?

«Ciò di cui sono certo è che se avrò una figlia la chiamerò Emilia. Quanto a sposarmi, ci vorrebbe una donna che non aggiungesse tensioni a quelle che ho di mio. Esiste?».

Che cos’è mutato in lei con la carriera solistica partita nel 2002 con l’album Bagus?

«Sento una forte responsabilità. Nelle mie canzoni ci sono dei pensieri, per i ragazzini sono un piccolo simbolo e non uno che si fa bello con la volgarità o il disprezzo dello studio. Gli strumenti di conoscenza crescono ogni giorno, se i giovani falliranno dipenderà anche da loro stessi. Guai a essere pigri nella ricerca, o nell’abbandonarsi senza ragionare a Internet».

Stadio nuovo o stadio vecchio?

«Chi investe si aspetta un profitto. Rischia e deve rischiare anche la città. Stadio nuovo bene. Ma se si vuole salvare il glorioso Dall’Ara bisogna risistemarlo, rinnovarlo, riqualificarlo, servirlo, se no sarebbe un’altra occasione perduta. Com’è stata la rinuncia al metrò e come può divenire il MAST, il centro mondiale di sperimentazione e tecnologia dell’arte, specie fotografica, donato da Isabella Seragnoli nell’area del Pontelungo. Scommetto che 1 bolognese su 10 al massimo sa che cos’è o dove si trova».

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro