Bologna,Ezio Bosso: "A luglio in piazza Verdi? Quando ci si dimette non si torna indietro"

L’intervista al direttore d’orchestra

Il maestro Ezio Bosso (Serra)

Il maestro Ezio Bosso (Serra)

Bologna, 24 giugno 2017 - Maestro, lei sarà di nuovo in città, faccia a faccia con il pubblico, per presentare l’album “Venice Concert“. Un concerto, registrato alla Fenice di Venezia che forse ha un valore speciale...

«Ha significato ritornare a fare quello che forse che mi definisce di più. Tentativi ne avevo fatti di tornare sul podio a dirigere un’orchestra, ma non erano andati a buon fine... fisicamente non reggevo. Dal concerto di Venezia dell’ottobre 2016 ho imparato a gestirmi di nuovo, a divulgare con la bacchetta».

Si definisce «pianista all’occorrenza».

«Perché lo sono, pianista solo se occorre. Quando ho dovuto accompagnare i miei colleghi o fare musica da camera... anche per ricominciare a suonare».

Direttore o pianista...

«Questione di sfumature. Arrivo da tre giorni di incontri e lezioni con i ragazzi e gli ho spiegato che non si suona il ma si suona con. Si suona con il pianoforte, quando suoni con lo strumento anche lui suona con te. Anche quando hai a che fare con altri musicisti, esseri umani diversi con idee e professionalità differenti l’uno dall’altro, poni delle idee e ciò che ne viene fuori ti fa crescere e ti fa andare oltre. Dirigere è questo: uno scambio oggettivo. Celibidache diceva: illuminare chi va illuminato».

Dopo le ben note vicende, con l’Orchestra del Comunale di Bologna ci sono stati problemi, diciamo così, di ‘illuminazione’?

«Problemi di percezione. Quello che ho imparato o forse ho dimenticato arrivando da quelle file, è che spesso si confonde l’orchestra con coloro che gridano più forte. Qualcuno si è messo a gridare più forte ed è diventato l’orchestra. L’orchestra significa invece tante persone. Ho lavorato bene con loro, niente a che vedere con lettera e la polemica creata. Sa qual è stato il problema principale?».

Quale?

«Che non si è più parlato di musica e mi sono trovato a disagio anch’io. Pesantemente. A un certo punto il tema è diventato: ma Bosso è bravo o no? È in grado di dirigere o no? Io sono un musicista. Il mio intervento è stato richiesto da molte parti dell’orchestra, ma a un certo punto persino le mie ruote sono diventate oggetto di discussione. E a quel punto ho detto: qui mi sto facendo male io. Quando si parla di musica si fa del bene, sempre. Si è visto in piazza Maggiore il 5 giugno con diecimila persone in silenzio, che alla fine si sono alzate in piedi ad applaudire. Da folle ho chiuso il concerto con l’Incompiuta di Schubert. Volevo finire con un respiro, volevo comunicare respiriamo insieme. Di questo si deve parlare: la musica che fa stare bene».

‘Prova d’orchestra’ di Fellini. Una metafora potente.

«Ho fatto parte di orchestre di quel genere ma le orchestre sono molto cambiate. Ripeto: chi grida più forte sembra che diventi l’orchestra. Uno schiaffo si sente, il rumore di una carezza no».

A fine luglio erano programmati alcuni suoi concerti in piazza Verdi. Parliamone.

«Quel progetto nasceva dal sottoscritto ma io credo molto nell’istituzione e in quello che è il decoro dell’istituzione. Quando si danno delle dimissioni non si torna dopo un mese. Sarebbe un brutto messaggio».

Qualcuno, dalle istituzioni, le ha chiesto comunque di realizzarli quei concerti?

«Sono io che dico bisogna essere tranquilli e lasciare lavorare con tranquillità».

A mente fredda, cosa pensa dell’Orchestra del Comunale?

«Come ho detto ironicamente: non ho il fisico per un ente lirico. Quando incontrai per la prima volta alcune prime parti dell’orchestra ci siamo detti parliamo di musica da fare e io mi sono applicato a quel progetto: musica da camera, aumentare la produzione dei concerti interni... il problema di molti enti lirici è che si parla poco di musica ma molto di economia e allestimenti. E questo può impaurire. Un’orchestra non è mai facile. Mi immagino che certi colleghi, forse per un blackout comunicativo, potessero essere anche prevenuti, ma la prevenzione è una cosa terribile. Quella del Comunale è un’ottima orchestra e la mia idea era di sostenerla di più».

Sul palco di Sanremo tornerebbe?

«La speranza era di andare oltre Sanremo. Mi ha dato cose bellissime certo: far sentire la musica che mi appartiene, Bach, Chopin, a milioni di persone. Ma mi ha anche creato un forte pregiudizio, che pesa ancora. Sono refrattario in genere a questo tipo di proposte ma mi sono detto: proviamo a cambiare le cose. Se la tve mi darà l’opportunità di fare un qualcosa legato alla divulgazione vera, allora quello sì mi piacerebbe molto».

Con l’Auditel e certe politiche la vedo dura...

«È vero. Ma un signore che suona il piano ha calamitato milioni di persone davanti al teleschermo, quella sera. Direi che anche l’Auditel è stata contenta...».

È vero che lei ha cominciato a Torino suonando con gli Statuto?

«Al Conservatorio ho conosciuto il cantante degli Statuto... più grande di me, il più strano della scuola, io undicenne lui diciottenne. Appena ho potuto ho cominciato a vestirmi come lui. Un mito. Mi ha detto, vieni a suonare con noi. Ma era vietatissimo, i miei genitori non volevano, il Conservatorio non voleva. Comunque ho suonato con loro per un po’ e sa una cosa? Gli Statuto a un certo punto mi cacciarono».

Ovvero?

«Per eccesso di note. Facevano ska e io non c’entravo niente. Però ci vogliamo molto bene».

Cosa pensa delle cosiddette contaminazioni musicali.

«Nella musica contano solo due cose: perché viene fatta o come viene fatta. Non esiste bello o brutto. Negli anni che stiamo vivendo c’è una potenzialità di suoni infinita e anche di poetica... ho lavorato con i rapper e ho portato la loro poetica dentro un linguaggio di tipo classico, senza togliere niente a nessuno. La musica deve essere fatta in modo sincero».

Quando sale sul palco...

«Sono sempre terrorizzato, però mi piace, mi fa sentire vivo. Dico sempre ai musicisti: ricordati che non siamo lì per farci dire bravi, siamo lì per scaldarci i cuori. E quando la musica arriva, parla da sola».

Ha scelto di vivere a Bologna, ripensamenti?

«Bologna la amo a tal punto, a cui appartengo a tal punto, che mi sono prestato a un ruolo grande gratuitamente. È la mia città italiana, è la città che mi ha voluto bene e mi ha accolto».

Quindi la rivedremo in concerto qui.

«È un promessa».

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