Bologna, Fiorella Mannoia ricorda Lucio Dalla. "Caro amico, ti canto"

La cantante romana: "Un dovere ricordare le tue opere d'arte"

Fiorella Mannoia (fotoSchicchi)

Fiorella Mannoia (fotoSchicchi)

Bologna, 4 marzo 2017 - Lucio Dalla e Fiorella Mannoia si sono incontrati a Roma agli inizi degli anni Settanta, al bar della Rca dove lui era intento a fischiettare un motivetto ad una tazza di cappuccino per convincerla a raffreddarsi, e non si sono più persi di vista. Tant’è che la cantante romana nel 2013 ha voluto omaggiarlo incidendo un album tutto per lui: «A te». La loro, infatti, è stata innanzitutto la storia di un’amicizia. Quella tra Lucio e Rosalba. Sì Rosalba, perché per l’omino piccolo così «fiore» o «rosa» erano la stessa cosa; e una volta caduto nell’equivoco non aveva voluto saperne di correggersi. Per quarant’anni. Nella rubrica del telefonino, negli sms, nelle mail, Fiorella è rimasta «Rosalba Mannoia» fino all’ultimo. Così se glielo ricordi, lei sgrana quegli occhi profondi come il mare lasciandosi scappare un «beh, lui era fatto così…» grondante divertita rassegnazione. 

Cinque anni dopo, passato lo smarrimento, cosa resta nella tela del Ragno?  «Rimangono le canzoni e l’obbligo di farle ascoltare. Davanti ad una simile eredità, infatti, il nostro primo dovere è quello di non disperderla. Per questo dico alla gente: cantatele. Un principio che vale per la musica di Lucio come per quella di Pino (Daniele, ndr) e di tutti gli altri che ci hanno lasciato. In un paese che ha il brutto difetto di dimenticare in fretta come il nostro, il rischio più grande è proprio quello della memoria. In questo, purtroppo, siamo molto diversi dai francesi che i loro Montand o Piaf se li cantano e se li tengono cari».

Lei che pure nel tour di «Combattente» canta cose come «Milano» e «Felicità», come le sembra oggi il legame del Paese con Dalla? «Penso che il tempo non abbia raffreddato gli animi. Poco dopo aver pubblicato ‘A te’, tenni all’Auditorium Parco della Musica di Roma solo quattro concerti imperniati sul repertorio di Lucio. Non volevo dare l’impressione, infatti, di sfruttare l’onda emotiva della sua scomparsa. Poi hanno iniziato a cantarlo tutti e così lo scorso anno ho ripreso i fili di quel progetto per mettere in piedi uno show tutto imperniato sulle canzoni di ‘A te’; traversando l’Italia mi sono resa conto che l’entusiasmo era rimasto immutato. La tournée andò esaurita nonostante il pubblico sapesse benissimo che in repertorio non c’erano canzoni mie, ma solo di Dalla».

Che ricordo le ha lasciato? «Per me era Lucio era una persona molto elegante, innamorata dell’arte e della bellezza. Uomo di gran gusto, al contrario di quanto a volte lasciassero intendere talora certi suoi abbigliamenti molto ‘casual’. Ricordo ancora le visite ad Arte Fiera qui a Bologna, o la sua casa-galleria piena di opere d’arte firmate da Mimmo Palladino e innumerevoli altri».

Qual è stato l’ultimo ricordo? «Un pomeriggio d’estate mi trovavo in Campania per un concerto e l’andai a trovare a Sorrento sulla sua barca. Mi portò ad un bar lì vicino per gustarsi con me i racconti del gestore che conosceva a menadito la storia di Caruso. Furono ore indimenticabili. Forse non sono stata la più grande amica di Lucio, ma tutti i nostri incontri hanno dato vita a momenti bellissimi».

Com’è nato in lei il desiderio di dedicargli un disco intero?  «Così come la scomparsa di un regista che amati ti spinge a rivedere tutti i suoi film, quando Lucio se n’è andato ho iniziato a riascoltarmi tutti i suoi dischi. Avevo davanti un lungo viaggio in auto e mi sono accorta che conoscevo a memoria tutte le sue canzoni. Ascoltarle per ore una dietro l’altra mi ha convinto del fatto che avrei dovuto cantarle».

Le sue preferite?  «Probabilmente ‘Il parco della luna’ e tutte quelle di ‘Viaggi organizzati’».

Ce n’è qualcuna a cui ha dovuto rinunciare?  «Due su tutte, ‘Futura’ ed ‘Apriti cuore’. Con dolore, infatti, ho dovuto prendere atto che non ci arrivo. Lucio aveva un’estensione vocale che forse l’orecchio inesperto non coglie, ma all’atto pratico esce fuori in tutta la sua difficoltà. Soprattutto ‘Apriti cuore’ è una riflessione molto autobiografica sui rischi del successo e sull’inaridimento interiore dell’artista che mi commuove. Quando Dalla canta ‘cambierò’ che ti fa capire che dietro la maschera perennemente allegra c’era della malinconia, soprattutto prima di conoscere Marco Alemanno».

Perché? «Perché Marco l’ha cambiato, regalandogli una grande serenità. E chi ha voluto veramente bene a Lucio non può non volerne pure a lui».

Lei che è appena stata a Sanremo, perché pensa che ad un certo punto pure Dalla sia voluto tornare al Festival, anche se assieme a Pierdavide Carone? «Perché quando non hai più nulla da dimostrare, ti vuoi divertire. All’Ariston Lucio s’è messo in gioco per Carone, ma anche per se stesso. Ripetersi stancamente, infatti, è la morte di ogni creatività».

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