Bologna, 15 luglio 2012 - FORSE PATTI Smith non ha mai sentito parlare di Daria Bonfietti o di Rosario Priore, né dei vari Purgatori, Paolini, Risi, Cacucci e tutti gli altri che in un modo o nell’altro si sono trovati a sfogliare una delle pagine più controverse ed oscure della storia italiana, ma conosce il bene il peso della verità.

Ed è proprio ai troppi perché ancora sospesi nel cielo di Ustica che la sacerdotessa del rock dedica questa sera il suo Concerto per la Memoria al Parco della Zucca, difronte al deposito in cui giacciono i resti del DC9 Itavia I-TIGI abbattuto trentadue anni fa assieme al ricordo delle 81 vittime. Il concerto inizia alle 21,30 ma il Parco apre alle 19. Trenta minuti prima verranno messi in vendita gli ultimi 150 biglietti (ogni persona ne potrà acquistare due). È probabile che nel pomeriggio Patti Smith visiti il museo, accompagnata dal sindaco Merola.
 

Signora Smith con che animo si prepara a questa giornata un po’ speciale?
«Un concerto è speciale quando il pubblico decide di farlo diventare tale, visto che è l’energia dispersa nell’aria a dargli quel qualcosa in più. E il mio, che non sono una personalità politica ma solo un essere umano, è innanzitutto un atto di solidarietà verso quei familiari delle vittime di un fatto tanto devastante e ancora così misterioso».
Nella memoria di Bologna è rimasto epico il suo concerto all’Antistadio del ’79. Un’altra epoca.
«Già, un’altra epoca. Negli anni Sessanta e Settanta la poesia era fusa con il rock’n’roll. Hendrix, Dylan, Lennon avevano tutti dentro una grande poesia. Ma il più dotato era sicuramente Jim Morrison: amore allo stato puro. Ed è quel mondo che ancora oggi sta dietro alla mia musica».
Nel nuovo album “Banga” ci sono i suoi figli, ma in tour no. Perché?
«I miei figli sono più che pronti a seguire le mie orme. Jackson fa un assolo di chitarra in ‘Maria’, il pezzo che ho voluto dedicare alla sfortunata protagonista di ‘Ultimo tango a Parigi’ Maria Schneider, mentre Jesse Paris accompagna al piano me e il fratello nell’omaggio a Neil Young di ‘After the gold rush’».
Nell’album c’è pure Johnny Deep.
«Considero Johnny una specie di fratello. Ci siamo conosciuti cinque anni fa ad un concerto ed è stata una sorpresa scoprire che avevamo gusti simili tanto in fatto di libri che di poesia».

Andrea Spinelli