Bologna, 17 gennaio 2012 - L'attesa del debutto ufficiale di giovedì l’ha trascorsa seduto sempre nella stessa poltrona della stessa fila della platea. Roberto De Simone non ha perso un minuto delle prove, a sipario aperto e chiuso, con e senza i cantanti e il coro, anche quando sul palco c’erano solo macchinisti e tecnici. Del resto, l’appuntamento con Turandot l’ha aspettato 65 anni esatti, dal 1944, quando, studente undicenne al conservatorio di Napoli, assistette per la prima volta alla messinscena del melodramma pucciniano e ne rimase sconvolto, al 2009 quando il Petruzzelli di Bari gliene commissionò la regia. Tre anni dopo lo stesso allestimento apre la stagione del nostro Comunale e lui ha voluto seguire passo passo la creatura che una prima soddisfazione petroniana gliel’ha già riservata: la ‘generale’ di domenica con il primo cast è stata un trionfo.

Che cosa la colpì tanto da allievo del corso di composizione?
«Gli accordi iniziali che si trascinano bitonali per tutta l’opera. Volli leggere a tutti i costi la partitura e il mio maestro Renato Parodi mi spiegò che tali apparenti dissonanze venivano da lontano, da Le sacre du printemps di Stravinskij, dalla ribellione novecentesca alla magniloquenza strumentale wagneriana che sembrava aver azzerato il ritmo».

Puccini come eredita questa rivoluzione?
«La Turandot è l’unica sua opera dove i veri protagonisti sono il coro e la sua poliritmia. La principessa, presenza muta e ambigua scorta come ombra intravvista dietro le finestre del palazzo imperiale, e il principe, cantano poco».

Lei contesta anche il finale classico del loro bacio...
«Sì, lo trovo inadeguato e me ne sono reso conto approfondendo la fonte religiosa e mitica della fiaba persiana. Lo stesso Puccini era afflitto dalla caratterizzazione del disgelo finale che non si deve intendere come catarsi di natura erotica ma come liberazione dallo spirito malefico dell’ava Lau Ling che ha posseduto Turandot con il suo intendimento vendicativo verso l’invasore proveniente dal Nord. Quindi la sua è la crudeltà di un’indemoniata che il principe libera. E la sua verginità mai Puccini avrebbe potuto involgarirla con un finale consolatorio».

Quindi il bacio è l’esorcismo?
«E’ la forma più diffusa al mondo. Con il contatto delle labbra il principe sugge l’anima della principessa e le trasmette la sua solarità».

Però da noi questa elaborazione non si vedrà...
«I diritti d’autore non consentono di mettere mano al libretto per cui si vedrà solo la morte di Liù, che esprime l’eros, elemento che il suo sacrificio farà trasmigrare proprio in Turandot».