Bologna, 17 aprile 2014 - «Se va all’asta, mi compro il canestro dove la Virtus vinse l’ultimo derby nel 2009», scherzava Claudio Sabatini, ex patron bianconero, alla notizia che, dopo il fallimento della Fortitudo, sarebbero stati venduti molti arredi del PalaDozza. Adesso può farlo: secondo il curatore fallimentare, canestri, poltroncine e tabellone segnapunti non fanno parte delle migliorie concordate fra club e amministrazione all’atto della convenzione che assegnò l’impianto all’Aquila, bensì rientrano fra le proprietà della società stessa. Tradotto: i tifosi della Effe, vecchi o nuovi non importa, possono comprarsi il posto. Non per vedere una partita, ma per tenerselo a casa.

Saranno anche gli ultimi effetti di una lunga crisi, già sfociata nella cancellazione del club a livello federale e medicata ora con la ripartenza dalle categorie minori, ma fa comunque tristezza: è come se di una bella casa venissero messi in vendita alcuni arredi per saldare i debiti di chi la abitava. A subirne le conseguenze sono gli inquilini di oggi, anche se alla Fortitudo non li lega certo una poltroncina o il gigantesco impianto segnapunti di stampo americano, ma quel senso di appartenenza che non si può né mettere all’asta né comprare altrove.

Chissà se ad acquistare il blocco di attrezzature Fortitudo sarà un appassionato, un ente o un’azienda, magari desiderosa di mantenere lo storico aspetto del PalaDozza. Ma è fondato il rischio che, con i risultati di un’epopea forse irripetibile, se ne vada un altro pezzo di BasketCity. C’era una volta il PalaDozza che l’Aquila aveva scelto come casa per i suoi due scudetti, dandole un mobilio di pregio e tinteggiandola di bianco e blù: un salotto del basket che adesso può trasformarsi in un salotto e basta.

Angelo Costa