Bologna, 11 maggio 2013 - Giacomo Bulgarelli se ne andò il 12 febbraio del 2009. Due giorni dopo, il 14, il Bologna giocò a Napoli (1-1, gol di Maggio e Di Vaio) la sua prima partita orfano del più capitano fra i capitani, dell’Onorevole che pur di rimanere nella sua squadra e nella sua città aveva rimandato al mittente le offerte milionarie del Milan. Diceva Giacomo: «Io mi conosco: se vado a bere il caffè in centro a Milano e dentro il bar non conosco nessuno mi viene il magone...».

 

A noi il magone venne la sera la sera del 14, entrando al San Paolo: uno stadio pronto a salutare Giacomo Bulgarelli, simbolo eterno della bolognesità.
Una roba bella, da brividi, spontanea. E rara. Di una rarità assoluta, perché di solito, nel calcio, mogli e buoi dei paesi tuoi. Un quarto d’ora da tenersi nel cuore.
Raccontammo noi e così fecero quasi tutti, quell’accoglienza così rispettosa del dolore altrui, quella capacità dei napoletani di andare oltre la rivalità sportiva per essere vicini ai bolognesi che avevano perso uno dei loro più prestigiosi ambasciatori.

 

ESISTEVA una volta un legame anche fra la tifoseria più calorosa del Bologna e quella del Napoli. Nel 1990 il Napoli festeggiò la conquista dello scudetto in un Dall’Ara che applaudì Maradona e compagni e Lucio Dalla, con il suo strepitoso «Caruso», ha cementato quel legame.
Poi qualcosa si è rotto fra ultrà dell’una e dell’altra parte e se il Dall’Ara non è più amichevole per i napoletani, di certo anche il San Paolo non lo è più (da tempo) per i bolognesi, costretti a stare in gabbia dietro le reti per non prendere addosso di tutto.
Ma è un peccato, un vero peccato che vada perduta la memoria dei precedenti migliori e che ora abbiano il sopravvento i veleni e gli insulti. La speranza è che il ricordo di quel 14 febbraio serva a ricomporre le cose con quel Napoli rispettoso e commovente.
 

Stefano Biondi

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