Bologna, boom: fenomeno Tacopina. Joe va in Curia e al RoxyBar

Tutta la città parla di lui e lui parla con tutti: "L’ottavo scudetto? Perché no" FOTO: A spasso sotto i portici

Joe Tacopina a Bologna (foto Schicchi)

Joe Tacopina a Bologna (foto Schicchi)

Bologna, 11 settembre 2014 - «E chissà che un bel giorno il Bologna non possa vincere il suo ottavo scudetto...». Tacopina dilaga. Grande idea quella di mettersi la spilla rossoblù all’occhiello: una foto, a volte, vale più di mille parole. Soprattutto se diventa virale. Come quella dell’amico Joe nello studio del «Roxy bar» con Red Ronnie. L’avvocato americano, in attesa di lunedì prossimo, giorno fissato per l’incontro con Guaraldi, come si dice da queste parti fa tante «vasche» in centro, cioè passeggia avanti e indietro. 

Pare che cazzeggi, invece no: la sua è una vera e propria propaganda elettorale, cerca alleanze, stimola la voglia dei bolognesi più abbienti di fare qualcosa per questa società ciclicamente sull’orlo del baratro. Parla con chiunque sia interessato alle sorti del Bologna: fra questi c’è anche Monsignor Vecchi? Detto e fatto. Ieri mattina Joe era in Curia a parlare anche con lui. Vuole visitare le redazioni dei giornali e delle tv. La tv gli piace: sa che è un moltiplicatore di popolarità e di visibilità. Ha una faccia simpatica, è giusto che la sfrutti.

Tacopina non è un uomo in grado di mettere a segno, da solo, l’operazione Bologna. Ha bisogno che sul suo carro salgano le banche con i loro fondi e i loro investitori. Deve moltiplicare la fiducia delle istituzioni, dei fedeli, degli editori e degli industriali. A Roma così hanno fatto lui e Di Benedetto ed è andata benissimo. Poi in plancia di comando è salito Pallotta: stessi metodi manageriali, ma altri amici. E Tacopina se n’ è annato. Destinazione Bologna. Una volta era Destinazione Paradiso, come la canzone. Non più. Serve la scossa e Tacopina intende darla usando metodi molto americani. Ci vogliono i dollars, certo. Ma ci vuole anche ottimismo, sicurezza in quello che si fa e non la paura che, visti i precedenti, da anni paralizza i bolognesi.

Di dollari Joe ne ha già parecchi: quelli che servono per sistemare Bologna 2010 e ridare il sorriso ai soci e i tredici della ricapitalizzazione. Poi, così pare, ce ne sono pronti altri ventidue, ma Tacopina non si dà un tetto. Come a Roma: se il progetto decolla si potrà fare molto di più. Champions e dintorni, ridice, citando Bulgarelli e Nielsen.

Detto che, comunque vada, bisognerebbe ringraziare Tacopina e il suo ‘far l’americano’ (cosa vuoi che faccia uno di New York) che hanno riportato interesse e sorrisi intorno al club alimentato con le flebo e al cui capezzale va gente che poi esce sospirando forte e, a volte, piangendo, è vero pure che gli affari più sono silenziosi e più hanno il lieto fine. Ma per il vecchio amico Joe mettere il carro davanti ai buoi è una strategia, non una stranezza: sa che serve a generare consenso e fiducia, due moltiplicatori di denaro.

Guaraldi, di quel denaro, vorrebbe tre milioni come cauzione e la garanzia scritta che Tacopina non si tirerà indietro, come fece nel 2008 con Cazzola. Una proposta che lascia trasparire la speranza che Tacopina non ce la faccia, così i tre milioni se li tiene lui. A Cazzola ne rimase uno e non era ancora esplosa la crisi. Dicono i soci che è meglio ridurre le pretese e chiedere a Joe una caparra molto meno impegnativa: in fondo, se l’operazione andrà a buon fine, ci guadagnano tutti, anche Guaraldi, che ormai ha rotto tutti i salvadanai di Casteldebole per contare e ricontare i soldi e coltivare la speranza che si possa comunque arrivare a giugno, essere promossi e ricominciare daccapo. Addio che t’amavo, direbbero le mamme Anni Cinquanta.

Insomma, la trattativa ha già uno scheletro e dei punti fermi. Il manico del coltello lo ha Guaraldi, ma sa che presto potrebbe arroventarsi e costringerlo a mollare la presa. Tacopina vuole la rivincita sul 2008: è impensabile che questa volta abbia agito d’istinto come sei anni fa, senza essere certo di avere i 40 milioni che servono per risanare il Bologna. 

A dire il vero, era dai tredici della ricapitalizzazione che si doveva partire. Ma è sorto il dubbio (anche se nei verbali dei cda l’accenno e assai vago) che il ricapitalizzatore debba avere il gradimento dell’azionista di maggioranza. E questo spiegherebbe perché vanno in scena trattative vecchio stile. In questo caso, old style.

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