Tre anni fa il terremoto, la vedova: "Dopo la morte di mio marito, solo promesse"

Parla la moglie di Gerardo Cesaro

Catia Zuccheri mostra la foto  del marito Gerardo

Catia Zuccheri mostra la foto del marito Gerardo

Pieve di Cento (Bologna), 20 maggio 2015 - LA CHIESA della Collegiata, Porta Cento e la Rocca nel cuore di Pieve di Cento sono ancora transennate. Non mancano nel centro le strutture «soffocate» da ponteggi e cantieri, un intrico di tubi che fa parte di un paesaggio ferito. Monumenti, negozi, palazzi. La fatica della ricostruzione, tre anni dopo il terremoto, si misura da qui. Ma ci sono simboli più nascosti come il pensiero fisso a quell’istante, la prima scossa del 20 maggio 2012 e poi la successiva del 29.

Un pensiero che a distanza di tre anni non abbandona Catia Zuccheri di Mamorta a Molinella che ha perso a causa delle prime scosse il marito Gerardo Cesaro morto nel crollo della Tecopress di Sant’Agostino nel Ferrarese.

«DOPO LA SCOMPARSA di mio marito e dopo tante promesse – racconta la vedova – i familiari delle vittime sono stati abbandonati. Nessun aiuto né economico, né psicologico per me e i miei due figli. Spero che almeno la morte di Gerardo sia servita a far capire che nessuno dovrebbe mai lavorare in posti non sicuri. Ancora oggi non so chi incolpare per la morte di mio marito».

Ma c’è anche chi dopo tre anni è ancora fuori casa: Stefania Ferioli, commercialista, ha un sussulto ogni volta che passa da via Circonvallazione Ponente a Pieve di Cento. «Ho ancora i mobili ammassati in un magazzino – racconta – e per fortuna che nel maggio 2012 era disponibile la casa di mio padre. Se no sarei stata una sfollata. La Regione ha finanziato tutti i lavori (400mila euro) della mia abitazione e devo dire il sindaco Sergio Maccagnani ha fatto un ottimo lavoro. I centri dei paesi dopo il sisma si sono vuotati dei clienti e i negozi soffrono. Le piccole attività hanno risentito del terremoto più che le imprese. Lo Stato non deve dimenticarsi dell’Emilia».

LE FA ECO il fabbro Lamberto Fini: «Sono fuori da tre anni dalla mi attività. Ho dovuto lavorare a domicilio perchè non avevo un posto». Mario Biondi ha subito danni per un milione e 200mila euro: «I primi tempi dopo il sisma ho vissuto in tenda come un nomade, poi in albergo e infine in un appartamento trovato dal Comune. Forse il prossimo anno tornerò a casa».

CATERINA TADDIA, titolare di una tappezzeria, ha dovuto trasferire per qualche tempo la sua attività: «Ho ottenuto i contributi per la ricollocazione dovuta al sisma e poi da circa un anno sono tornata nella vecchia sede. L’unico dispiacere che ho è per mio nonno: ha dovuto abbandonare la casa per il terremoto ed è morto prima di vedere la fine dei lavori». Alessandro Pirani, professionista, è ancora fuori casa: «Siamo usciti di casa subito, il cantiere è durato oltre 2 anni. Il nostro immobile aveva molti danni. In più era un caso molto complesso data la storicità e il vincolo della Sovrintendenza. La burocrazia ha funzionato bene come la macchina dei contributi».

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