2008-04-06
di GABRIELE PAPI
NELLA SQUADRA degli imprenditori coraggiosi che hanno saputo rilanciare il Teatro Verdi (che in questi giorni festeggia i 5 anni della sua rinascita) c’è anche una storia di famiglia. E’ quella di Andrea Rossi, quarantenne, commercialista, nipote per via materna di quell’Antonio Lugaresi che nel dopoguerra e fino agli anni novanta ebbe la gestione prima, la proprietà poi, del Verdi, poliedrico teatro cittadino, di fianco al Bonci, sui Giardini Pubblici (non a caso quel teatro, nato nel 1874, si chiamava all’inizio “Teatro Giardino”). «Sin bambino — ci racconta — ho respirato a casa mia aria di teatro, di cinema, di varietà. Un mucchio di ricordi, poi ritrovati nei racconti di mia mamma Mira e di mia nonna Alba, che fu la cassiera del cineteatro Verdi».

NON AVEVA fatti studi particolari Antonio Lugaresi, nonno di Andrea, ma aveva gran fiuto per tutto ciò che era spettacolo. Lugaresi, reduce di guerra dall’Africa Orientale, negli anni cinquanta prese in mano il Verdi, rinnovandone le tradizioni di teatro aperto a più formule di spettacolo. Fu un’epopea popolare, in una società che aveva voglia di ricostruire e tornare a divertirsi. Al cinema del Verdi c’era spesso il tutto esaurito, con il record di millesettecento spettatori in una sola domenica per il film “I figli di nessuno” (con Amedeo Nazzari e la bella Yvonne Sanson). Ogni Carnevale c’era la settimana dei veglioni danzanti. Ed ogni martedì l’avanspettacolo: non solo ballerine maliziose e seminude, ma anche famose compagnie di rivista musicale, quelle di Macario e Dapporto. Se nel frattempo era arrivata in molte case la televisione, al Verdi si potevano gustare primizie ancora inedite, come, negli anni sessanta, il concerto rock di un certo Adriano Celentano e giovani comici (allora) come Franchi ed Ingrassia. E persino, sul palcoscenico, i brividi del proibito: i primi spogliarelli. L’antivigilia di Natale del 1975 il Verdi si ripresentò ai cesenati modernamente ristrutturato, ma sempre sul filo di cinema e teatro. Tempi nuovi però stavano già correndo e ormai le prime multisale stavano per profilarsi all’orizzonte. «Ma il “Verdi” era ancora lì, nei Giardini Pubblici allora dimenticati dalla città — continua Andrea Rossi —. Attendeva un ritorno al futuro. Una sera, nel 2001, ne parlai con l’amico Luigi Di Placido, fino all’alba. Nacque un’idea e poi una cordata di amici: oltre a Luigi e mio fratello Maurizio, i commercialisti Aldo Ferretti e Pietro Mondardini, Gianni Comandini, buon calciatore del Cesena e del Milan, i fratelli Cristian e Luca Pagliarani, il dottor Andrea Bazzocchi, amante del varietà. Una squadra decisa a giocare. Qualcuno ci disse che eravamo matti. Invece ascoltammo, tra non poche difficoltà, il richiamo del Verdi che infatti tornò a rivivere cinque anni fa, grazie anche al nitido restauro dell’architetto Sanzio Castagnoli. E quel richiamo, il Verdi come luogo ritrovato tra musica, cabaret e gastronomia, è stato poi raccolto da un ampio pubblico che viene a trovarci non solo dalla città, ma dall’intera Romagna e da Bologna. Se certe notti di Cesena hanno fatto tendenza, la cosiddetta “movida” dei giovani, è merito anche nostro, della nostra voglia di guardare avanti, invece di stare a guardare».

ORA poi stanno per tornare a nuova vita i Giardini Pubblici, su cui si affaccia il “Verdi”. «Ci fa davvero piacere, è una rinascita che abbiamo anticipato. I Giardini, come il Verdi, sono un bello spicchio della storia della nostra città, da più di un secolo. E’ sempre importante riproporre i luoghi d’incontro della città, ma è altrettanto importante ribadire che le vere tradizioni sono quelle che sanno rinnovarsi, aprirsi ai tempi nuovi».