La volontaria: "Lotto per difendere i diritti umani, anche se a volte si rischia la vita"

Barbara Presepi era in Burkina Faso durante il colpo di Stato

Barbara Presepi nel ‘suo’ villaggio in Burkina Faso

Barbara Presepi nel ‘suo’ villaggio in Burkina Faso

Cesena, 30 settembre 2015 - A volte, per andare a vivere dall’altra parte del mondo, basta appena una valigia. Perché i sogni non occupano spazio, nemmeno quando sono enormi. Sogni di poter contribuire a cambiare la vita di chi ogni giorno lotta per la vita rimboccandosi le mani in prima persona.

In Bangladesh l’Isis ha strappato la vita del cooperante romagnolo Cesare Tavella, ma non è riuscito a cancellare la passione con la quale tanti altri suoi concittadini sono pronti fare le valigie per raggiungere qualunque latitudine del pianeta, ovunque arrivi un grido di aiuto. Tra i diversi cesenati che hanno scelto questa strada c’è Barbara Presepi, 37enne che ogni anno trascorre alcuni mesi in un villaggio del Burkina Faso, nel cuore dell’Africa: «Ho sempre fatto della lotta per la difesa dei diritti umani una mia bandiera. Mi sono avvicinata al Burkina quando ho conosciuto dei ragazzi che organizzavano una raccolta fondi per la costruzione di un ospedale: prima ho fatto del mio meglio per dare una mano poi, come viaggio per festeggiare la laurea, sono partita».

E lì è scattata la scintilla. «Quel mondo mi ha conquistata. E’ vero, per aiutare non è necessario andare fin là, ma io volevo dimostrare la mia vicinanza. Ora l’ospedale è aperto e per noi è stata una vittoria immensa. Ma non ci siamo fermati. Attualmente partecipo a progetti di sostegno alle donne e di rispetto ambientale».

Vale la pena rischiare la vita per aiutare gli altri? Chi sceglie mete ad anni luce di distanza dai grandi resort ha le idee molto chiare: «Il Burkina Faso non ha problemi con l’Isis, fino allo scorso anno era una delle aree più stabili della zona, poi però c’è stato un colpo di stato. Io ero là, l’ho vissuto in prima persona. L’ambasciata ha caldeggiato il rientro anticipato e io ho fatto i bagagli. Ma dopo pochi mesi sono tornata. Quando arrivo al villaggio e tutti mi circondano, la prima cosa che faccio è aprire il computer. Voglio mostrare le foto scattate in Italia, a Cesena, durante gli eventi che organizziamo a loro nome. Per dimostrare che non sono soli. Mi sono presa la malaria e di sicuro non vivo in un albergo. Per gli abitanti del Burkina Faso ogni giorno la vita è una lotta e dal mio punto di vista ‘combattere’ dalla loro parte vale ampiamente i rischi che si possono correre».