Cesena, 12 febbraio 2010 - Quella musica farà parte per sempre della colonna sonora della sua vita, blindata nell’anima. Stefano Bertozzi, cesenate, 45 anni, da undici operatore televisivo di Pondovideo, service di San Piero in Bagno che lavora per le reti Mediaset (da Striscia la notizia alle Iene, alla cronaca internazionale dei telegiornali) ha nelle orecchie le canzoni di fede e speranza della popolazione di Haiti (soprattutto della capitale Portau Prince) pronta a reagire al recente terremoto che ha devastato il Paese, con oltre 350mila vittime secondo fonti governative.

Così questo cesenate dall’approccio immediato e alla mano, tonico fisicamente ma che non si sente assolutamente un Rambo, dopo essere stato in passato in prima linea nei conflitti in Afghanistan e a Bagdad, il 18 gennaio scorso dopo dodici ore di pulmino da Santo Domingo, insieme alla giornalista Mimosa Martini per il Tg5, è approdato nel cuore del cataclisma da dove è rientrato il 5 febbraio.

Scusi Bertozzi, è sicuro di aver sentito bene, la popolazione cantava in mezzo alla catastrofe?
«Eccome, bisogna esserci stati per capire, quella gente è abituata al dramma: dittature, povertà, grandi piogge, il turismo annientato da tempo. Quell’isola è un mix naturale di dolore e musica. Sì, ho sentito e visto persone, bambini negli orfanatrofi, mutilati dalle macerie cantare, reagire così al disastro. Ho pure partecipato a una loro messa, è durata cinque ore; dopo le preghiere via libera alla musica. Sull’altare non manca mai un complessino con batteria, basso e tastiere. Dopo un paio di giorni di shock assoluto, di mutismo, quella gente ha risposto anche se con il terrore dentro».

Ma in che modo?
«In fretta sono ricominciati i commerci, nelle zone meno colpite hanno riaperto alcuni negozi, bar, supermercati. è un popolo molto credente e anche questo forse è una spinta importante».

Gli aiuti umanitari lei li ha visti?
«Poco, fanno fatica ad arrivare, i porti sono chiusi, l’aeroporto è piccolo, l’asfalto delle strade spesso distrutto».

I morti erano ancora tra le macerie?
«Sotto, a volte anche visibili. Un collega, attraverso un filmato, mi ha mostrato un salvataggio miracoloso. Un uomo è stato ritrovato vivo dopo due settimane, aveva solo un femore rotto. Ha avuto la fortuna di precipitare nel sottostante negozio di alimentari e si è nutrito con biscotti e bevande gasate».

Avete visto anche i saccheggiatori, coloro che rubano tra le macerie?
«Certo, tutti i giorni e soprattutto in centro. La polizia ha anche sparato e ucciso, di frequente poi è intervenuta a manganellate».

Lei è un innamorato della tv?
«Ci lavoro ma non la guardo più, da tre anni ho regalato l’apparecchio. Non mi piacciono le chiacchiere ma i fatti, i documentari e ormai non ne vengono più trasmessi».

Fino a quando farà questo mestiere?
«Devono permettertelo il fisico e la testa, fondamentale è lo spirito di adattamento. È molto impegnativo, lavori tutto il giorno, la concentrazione deve essere assoluta. Mi occupo infatti delle riprese, del montaggio e di inviare i filmati utilizzando un modem satellitare, in versione file compresso, nei server di Mediaset».

E ai rischi non ci pensa mai?
«Ci sono ma solo in alcuni momenti, comunque non sono Tex Willer che affronta tutto e tutti senza paura».