Cesena, 30 ottobre 2010 - Un colpo al cuore. Forse l’ultimo della serie. Sferrato forse come funesto marchio di un amore spezzato, improvvisamente, per sempre. Sokol martedì sera verso le 19 ha colpito Eleonora per sette volte con un coltello di venti centimetri. Due i fendenti mortali. Uno alla giugulare, nel collo. Uno al cuore. Forse l’ultima pugnalata. Estremo sigillo di una storia strozzata nel sangue.

L’autopsia eseguita ieri a Cesena dall’anatomopatologa Elke Otto ha confermato in sostanza la dinamica già finita nei verbali dei carabinieri grazie alle testimonianze di colleghi di lavoro della vittima e di alcuni clienti del ‘Madame Cafè’, il locale di Villalta di Cesenatico teatro dell’omicidio di Eleonora Liberatore, 37 anni, impiegata originaria di Terra del Sole — nel Forlivese — da 4 anni residente a Cesena. In centro Eleonora dal 2006 condivideva un appartamento con quello che è diventato il suo carnefice, Sokol Pirra, 39 anni, elettricista albanese in Italia da 14 anni, arrestato dopo la tragedia in un campo di Villalta, dove aveva tentato di suicidarsi coi fili dell’alta tensione di un traliccio dell’Enel.

L’uomo è ora piantonato al ‘Bufalini’, reparto grandi ustionati, con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi (più l’imputazione di porto abusivo di coltello). Per Elke Otto, nominata dal pm Marco Forte, che coordina l’inchiesta, Eleonora è morta dissanguata, in pochi minuti. Se non secondi. Gli altri colpi, non mortali, sono stati riscontrati ai fianchi e ai polmoni. Le conclusioni finali dell’esame autoptico arriveranno fra 60 giorni. Alla fine il pm Marco Forte ha dato il consenso per i funerali. Che si svolgeranno, per volere della famiglia, in forma strettamente privata, probabilmente già oggi, o a Terra del Sole — dove risiedono i genitori — o a Meldola, dove abitano invece l’ex marito e il figlio oggi 16enne. Quella famiglia che Eleonora aveva abbandonato, di colpo, 4 anni fa. Folgorata da quell’uomo dai tratti marcati e gli occhi buoni: Sokol.

«Lei era la mia vita. Fino alla primavera scorsa parlavamo ogni giorno di fare una famiglia, di avere un figlio... Poi non so cosa sia successo...»: è solo uno stralcio dell’interrogatorio di giovedì pomeriggio. Sokol, difeso dall’avvocato Chiara Brunelli, è stato sentito in ospedale — dov’è in attesa della parziale amputazione del braccio fulminato nel tentato suicidio — dal giudice Rita Chierici e dal pm Marco Forte. «Ora è giusto che paghi per quello che ho fatto. Ma tanto la mia vita è finita quando Eleonora mi ha lasciato» ha detto Sokol al giudice.

«Da giugno Eleonora ha cominciato a uscire da sola — ha proseguito l’uomo coi magistrati —. Praticamente eravamo diventati separati in casa... Poi a settembre, una sera, mi ha detto che se ne andava di casa... che mi abbandonava... Per me è stata la fine... Se n’è andata senza mai darmi una motivazione... E questo non l’ho accettato. Mi doveva dare una spiegazione. La esigevo. E invece lei non ha mai risposto alle telefonate... Mi ha sempre ignorato. Un affronto per me insopportabile. Così, l’ho uccisa».