Cesena, 12 maggio 2013 - Un lampo e la vita scorre alla velocità dei millesimi di secondo, finendo per svanire d’improvviso. E allora ai familiari, agli amici e ai conoscenti non resta che il ricordo e il dolore, profondissimo, per la perdita di un figlio, un marito, una moglie, un parente. In città, in particolare, il 2013 è già un anno nero per le morti di giovanissimi in incidenti stradali. Morti inspiegabili, terribili, perfino difficili da definire. Solo negli ultimi due mesi sono morti tre ragazzi, Marco Campori, 20 anni, il 7 aprile a Sala di Cesenatico, Lorenzo Cococcia, 21, il 24 aprile in via Settecrociari e Stefano Giunchi, 19 anni, il 3 maggio in via Pisciatello.


E allora succede che familiari e amici, atterriti dal dolore, lasciano ricordi e messaggi, sfogliano album di foto del passato che poi pubblicano sulle loro bacheche virtuali sul web, si sfogano e interagiscono tra loro. È un modo per farsi forza e continuare a vivere, aiutandosi reciprocamente. È un modo per elaborare il lutto, segno dei tempi, in cui i social network, in particolare Facebook, giocano un ruolo chiave e possono essere d’aiuto alle persone per superare tragedie il cui ricordo, purtroppo, è inestinguibile.

 

Dottoressa Alessandra Montesi, lei è psicologa e psicoterapeuta del Servizio Cure palliative dell’hospice di Savignano sul Rubicone e dell’Istituto oncologico romagnolo, in questi ultimi mesi la città e i dintorni sono stati colpiti da diversi lutti di giovanissimi morti in seguito a incidenti stradali. Parenti e amici, inevitabilmente, sono distrutti dal dolore. Lei ha mai avuto in cura persone che si trovano di fronte all’improvvisa scomparsa di una persona a loro vicina?
"Certamente. Il mio ruolo mi ha portato a lavorare con diverse persone che si sono trovate di fronte a questa terribile situazione. Un caso che ricordo è quello di una mamma che, dopo la morte della figlia 15enne investita in bicicletta, ha dovuto affrontare anche la morte improvvisa del figlio 30enne. E si è rivolta a me".
 

In quel caso specifico come è proceduto il percorso di elaborazione del lutto e in generale attraverso quali passaggi si sviluppa?
"È un percorso abbastanza lungo e comunque soggettivo. Ogni persona riesce a riorganizzare, ricollocare la propria vita a suo modo. La soluzione nel caso della signora di cui parlavo è stata portare avanti la progettualità del figlio che, avendo fatto un’esperienza di volontariato in Tanzania, voleva costruire un pozzo in quel paese. Questa signora, dunque, ha realizzato il desiderio del figlio scomparso. E questa, secondo me, è una delle tre strade per sopravvivere alla morte di un figlio. Un danno esistenziale talmente grande per cui non c’è soluzione se non quella di sopravvivere".
 

Le altre due quali sono?
"Oltre a portare avanti la progettualità del familiare scomparso, soprattutto nel caso di giovanissimi morti all’improvviso, i congiunti spesso fondano associazioni che portano avanti azioni rivolte ai ragazzi come borse di studio, progetti. Altri ancora mantengono il ricordo sui social network".
 

A proposito, sempre più spesso l’elaborazione del lutto passa attraverso internet, e in particolare i social network. Su Facebook nascono pagine ad hoc dedicate ai ragazzi scomparsi o comunque i genitori mantengono attivi i profili dei figli, come prolungamento della memoria attraverso le nuove tecnologie. Che ne pensa?
"È sicuramente molto utile nel percorso dell’elaborazione del lutto da parte di chi lo subisce, soprattutto se si tratta di ragazzi giovani. I genitori si ritrovano soli, soli nel loro dolore, e i social network, strumenti dal grande potere comunicativo, di condivisione, possono aiutare ad esprimere il dolore. E poi nei genitori scatta il senso di mantenimento delle abitudini e dei contatti primari della persona scomparsa che grazie ai social network è possibile. Il padre e la madre dello scomparso così mantengono i contatti con gli amici".
 

E gli amici?
"I ragazzi in genere per un po’ frequentano anche la casa dei genitori dell’amico, poi resta il social network. Ma occorre prestare attenzione".
 

In che senso?
"Il social network non deve diventare uno strumento attraverso il quale legarsi, nascondersi negando la realtà".

Milena Montefiori