Sogliano al Rubicone (Cesena), 23 marzo 2014 - A UN CERTO PUNTO, dalle viscere di Ginestreto, è spuntata una tibia. Ecco perché gli inquirenti hanno ipotizzato, a botta calda, si trattasse di un resto umano. Non animale. Tuttavia solo le analisi accurate dei Ris chiariranno tutto entro pochi giorni. L’appiglio che, al momento, rappresenta il filo sottilissimo tra gli investigatori e la storia di un ragazzo sequestrato nel 1986, ad Anzola di Bologna — insomma, Alessandro Fantazzini — è la parte di un arto inferiore. I dettagli, un po’ vaghi e un po’ mirabolanti che hanno connotato il ritrovamento di resti mercoledì sera, nel fondale dimenticato di quel pozzo di campagna, iniziano ad avere una loro fisionomia d’indagine.

PRIMO punto: gli investigatori non hanno inciampato in quel pozzo, dimenticato da tutti (quasi), durante un’operazione antidroga. I carabinieri ci stavano lavorando da tempo. E ci stavano lavorando perché qualcuno aveva schiuso il sarcofago dei misteri. Quel ‘qualcuno’, in qualche modo legato al territorio, sapeva di Ginestreto, sapeva del pozzo. Sapeva del segreto immerso nel fondale nero a quasi venti metri (non dieci) di profondità. Gli specialisti si sono calati nel pozzo. Là sotto non hanno trovato lo scheletro di un uomo ma solo parti di ossa. Resti di qualcosa mangiato dall’acqua e dagli anni. Almeno venti, stando ai primi riscontri. Tra questi resti, emersi dal fondo di questa storiaccia, il più evidente sarebbe una tibia.

Già, una tibia. Ma la tibia di chi? I reperti sono stati fotografati, catalogati. E sono a Parma. Nella sede dei Ris. Gli investigatori ci stanno sopra. Primo punto prelevare il Dna e confrontarlo con i campioni della banca dati. Se i dati sono congruenti, il passo successivo è la prova del tampone osseo con i famigliari della persona alla quale si presume appartengano le spoglie ritrovate. Nel caso del giallo Fantazzini il terminale sarebbe la sorella ancora in vita, Elisabetta Fantazzini. La rete degli investigatori al momento ha tirato indietro una tibia. Primo tassello che dà corpo alla voce che avrebbe indirizzato le indagini verso Sogliano e quel pozzo scavato fino a quasi venti metri di profondità. Qualcuno sapeva? Sì. Sapeva che sotto terra poteva esserci la storia sommersa di una persona. La cautela degli investigatori è massima — guai a ingenerare facili illusioni — ma è fitta anche la nebbia che avvolge la bocca del pozzo di Ginestreto. Cauti, però, anche nel non aver scongiurato la possibilità che i resti possano appartenere a una bestia. Allora perché questa operazione in grande stile?

Mattia Sansavini