Cesena, 8 aprile 2014 - Un po’ salotto, un po’ bivacco. «Per noi ragazze — dice Paulina, 19 anni — è sempre così». Sguardi appiccicosi, come colla. Gianna Bramo e Paulina Blaszczyk sono sedute su una panchina di via Gaspare Finali. Una bibita, lo zainetto e l’autobus che sta per arrivare. «Certo — dice Gianna, 18 anni — bottiglie in terra e siringhe non se ne vedono, ma ci sono sguardi libidinosi che ti si appiccicano addosso». Via Finali, due passi dal centro storico, è un lembo di strada particolare.

«Certi tizi passano e ti stampano gli occhi addosso, quasi come una sfida... Di sera non è il massimo della vita». In tutto sono 162 passi: dall’inizio della Barriera al chiosco dei fumetti. «In certi momenti — assicurano le ragazze — passano anche gli spacciatori. Due panchine più in là, invece, ci trovi i senzatetto che giocano a dama, loro non fanno del male a nessuno». Strada di passaggio, da un lato le banche, dall’altro un tratto delle vecchie mura che fa ombra alle panchine. «Qua è tutto tranquillo — spiega Olga Vorniches —. Sono una badante e vivo a Cesena da sei anni. Alcolizzati? Noi veniamo qui tutti i pomeriggi e non succede mai nulla». Le ragazze fissano la bibita, accarezzate dalla prima brezza di primavera. «L’autobus sta arrivando — salutano —. I barboni non danno fastidio. A suscitare inquietudine sono gli uomini che si avvicinano alle ragazze che aspettano l’autobus».

Il senzatetto raccoglie il suo foglio di cartone e brontola qualcosa. Aria di vicini insofferenti? Di nuovo sloggiati dalla strada? «Ma quali vicini insofferenti — lamenta Johnny Guiducci, titolare della fumetteria —. La mattina devo sempre pulire e disinfettare. Fanno i loro bisogni qui, sulla parete del chiosco. I controlli? Mah... magari la polizia passa, ma non è che può ammanettare uno solo perché ha una birra in mano. Ci sono i bidoni, perché lasciare tutti resti a terra?». Via Finali è uno dei sentieri che portano al cuore di Cesena. Percorrerla a passo svelto non rende l’idea. Tutto è straordinariamente normale, quasi banale. Ma le bottiglie di birra, nell’erba tagliata perfettamente, risaltano di più.

«I problemi li abbiamo, e tanti — sentenzia Valentina, commessa al Conad City—. Provate a venire alle otto di sera. Dobbiamo lottare per evitare che ci rubino le birre o i cartoni di vino». Più che una zona violenta dà l’idea di essere una zona solcata da rivoli di disagio. Il Bronx? Macché. «La situazione non è tranquilla», ribatte Valentina. «Speriamo facciano qualcosa». Intanto la sagoma di un uomo che trascina i piedi si staglia in controluce sul fondo della mini-galleria del Conad City. Strano, a pochi passi brilla la vetrina del nuovo bar pasticceria. Gruppi di studenti camminano svelti e spensierati. Il conflitto, però, germina lento e silenzioso giorno dopo giorno. Il conflitto non è né il colpo di una pistola né una mega rissa nel cuore della notte.

Il conflitto è un velo che si ispessice giorno dopo giorno tra residenti e ‘forestieri’. Marco — almeno dice di chiamarsi Marco il senzatetto con accento straniero che ha appena stappato una birra con l’accendino — è rassegnato. «Sapete — dice — essere poveri è comunque una colpa. Salute a tutti... Non ho altro da dichiarare». Dalla finestra di un condominio in via Finali una signora guarda torva la partita a dama tra due senzatetto. Il conflitto non fa rumore. Come la dama.

Mattia Sansavini