La classe operaia adesso va a teatro

Protagonista Lino Guanciale: «Un grande dramma civico»

TEATRO CIVICO Lino Guanciale e altri interpreti del dramma «La classe operai va in paradiso»

TEATRO CIVICO Lino Guanciale e altri interpreti del dramma «La classe operai va in paradiso»

di RAFFAELLA CANDOLI

«LA CLASSE operaia va in paradiso», liberamente tratto dal film di Elio Petri del 1971, va in scena al Bonci da domani a sabato alle 21, e domenica alle 15.30.

È una produzione Fondazione Ert per la regia di Claudio Longhi su sceneggiatura di Paolo Di Paolo: una messa in scena tra le più originali della drammaturgia attuale, che «entra ed esce» dalla celebre pellicola, suscitando un confronto tra uno spaccato di vita di allora, ideologizzata, caratterizzata da violente rivendicazioni dei lavoratori sostenuti dal movimento studentesco e la recente storia politica e culturale del nostro Paese.

Lino Guanciale è il protagonista nel ruolo dell’operaio Lulù Massa, apprezzato attore di teatro, di cinema e volto noto della fiction televisive (Che Dio ci aiuti; La dama velata, La porta rossa).

Guanciale, se il film alla sua uscita rimediò giudizi per larga parte negativi (ma una serie di premi della critica), proprio perché metteva a nudo le alienazioni dei lavoratori delle fabbriche, la versione teatrale, con canzoni eseguite dal vivo, riscuote invece grandi consensi.

«Sono stato io a proporre al regista Longhi di affrontare questa tematica. Il film di 50 anni fa che aveva quali grandi interpreti Gian Maria Volonté, Mariangela Melato e Salvo Randone rappresenta un classico del romanzo popolare e della commedia all’italiana. A teatro, gli spettatori sono introdotti a quegli anni attraverso le parole di tanti operai, a partire dal 1884 e passi di capolavori della letteratura italiana degli anni Sessanta e Settanta».

Chi è Lulù Massa di cui lei veste i panni?

«Il padre di tutti noi, il prototipo dell’alienazione consumistica del miracolo post economico. È un operaio di fabbrica che lavora a cottimo e più lavora e più guadagna, più può soddisfare il suo desiderio di avere l’auto, la televisione, gli elettrodomestici. Si aggira per casa e tocca ogni oggetto dandogli un valore in termini di ore lavorative. Ma fuori dalla fabbrica non ha più una vita di affetti e relazioni e sul posto di lavoro è inviso agli altri perché i padroni se ne servono come strumento di esempio e di abnegazione. Si renderà conto di essere valutato solo per il suo stare alle regole».

La compagnia ama confrontarsi col pubblico. Perché?

«Per un senso civico direi. Andiamo anche nelle scuole e gli studenti si stupiscono di quella vocazione solidaristica di allora che pare persa. Quei tempi paiono lontani, ma il lavoro ‘sporco’ della fabbrica ha lasciato il posto ad ambienti meno degradati, ma non meno vessatori in nome della produttività».

Quindi, che insegnamento trarre dallo spettacolo?

«La salvaguardia del proprio pensiero. Se la luce azzurrina della tivù era un miraggio dai poteri ipnotici attenzione a non sostituirla con quella luminosa degli smartphone che ci allontanano dalla realtà».