La rivolta dei chioschi contro il marchio Igp: «La piadina romagnola siamo noi»

La Ue multa le ricette fai da te: sanzioni salate per chi non rispetta il marchio Igp VIDEO Cesena - Bertinoro - Rimini - Ravenna

Gabriella Maria Tiziana Magnani, la ’Lella’, mitica piadinara di Rimini

Gabriella Maria Tiziana Magnani, la ’Lella’, mitica piadinara di Rimini

Cesena, 23 maggio 2013 - Cosa sta facendo? «Mi adeguo. C’era scritto ‘piadina romagnola’, ho appena saputo che non si può, si rischia la multa. Copro la parola. Per ora. Ma non finisce qui. Ci armeremo con un bel referendum per riconquistare la nostra identità». Paolo Mambelli, insegna di piadineria sulla strada di Bertinoro, dolci colline forlivesi, appena sente che a Ravenna la Forestale ha multato un chiosco per 4mila euro, cancella un pezzo della sua storia. Perché la ‘piadina romagnola’ che l’ha svezzato, oggi è un marchio europeo, Igp – indicazione geografica protetta –, chiesto e ottenuto dai grandi produttori dopo una battaglia di dieci anni.

L’Europa ha approvato ricetta, spessore e diametro della piada o pida, come canta Casadei, che invece metteva tra gli ingredienti segreti la grinta di Pantani, la mamma del campione aveva un chiosco. Oggi chi non si adegua alle regole e pubblicizza le ‘piadine romagnole’ è fuorilegge. Ma il re del liscio è perplesso. Rimugina Raoul: «Io sono per la tradizione. Va bene il marchio ma nella nostra terra ci dev’essere libertà».

Abbiamo incontrato le signore (e i signori) dei chioschi in tutta la Romagna, da una stima sono 1.500. Nessun iscritto nel club esclusivo dell’Igp, che mette in commercio 60 milioni di piadine, proprio come fanno loro, i custodi delle ‘ricette segrete’. Da Cesenatico a Rimini, da Cesena a Ravenna a Bertinoro, (quasi) tutti a ripetere: «No che non aderiamo. Ognuno di noi ha le sue varianti, i clienti sono abituati così».

Unica eccezione Claudia Placucci, piadina d’oro con la mamma Marilena a Montaletto di Cervia: «Vogliamo il marchio, in sostanza non dobbiamo cambiare nulla». Contraria invece Maria Canu, baracchina a poca distanza, «la signora che mi ha dato il chiosco aveva preso le dosi da sua zia».

«Ricetta segreta della mamma Rina», non si sbottona Zaccaria Fontana a Cesenatico. Gabriella Maria Tiziana Magnani – si fa prima a dire la Lella, quello è il suo marchio – scandisce con orgoglio: «Farina acqua sale strutto. Grano dei nostri dintorni, grasso di puro suino». Poi s’avvicina alla piastra rovente, indossa un cappello di paglia e fiori come tutte le sue ragazze e si lancia: «La piadina è un corpo vivo, come una bella donna. Va curata. L’impasti, la stendi e la fai rilassare. Allora quando la mangi si sfoglia, non si spezza!».

Vallo a spiegare in Europa, che al massimo ha riconosciuto una variante riminese, più sottile. Rimugina, la Lella, dal suo impero di tre negozi, un figlio che ha portato la piada a New York: «La Romagna è qui, nessuno ce la porta via, ‘loro’ non sanno neanche dov’è. Aderire? Proprio no! C’inventeremo un altro nome. A meno che... Non si parta con un bel referendum».

Marina Cedioli, ‘la Rina’ di Cesena, è tranquilla: «Non c’è bisogno di scriverlo sull’insegna, siamo in Romagna». Più arrabbiata Maria Pavirani, chiosco in centro: «Questo marchio avvantaggia solo l’industria e mette in difficoltà noi che abbiamo inventato la vera piadina!». Un caos.

Chiarissimo, invece, che il pane dei poveri – in cucina la parola più ricercata su Google – è anche un vero affare. Si calcolano 500 milioni di pezzi in Italia per un fatturato che supera i 100 milioni. Giampiero Giordani, Confesercenti di Cesena, città affollata di chioschi, è contrarissimo al marchio. «Perché non l’abbiamo chiesto noi? Perché l’Igp non è come il Dop, non ti dice, per esempio, da dove arriva il grano. Non mi pare una cosa da poco».

Il Consorzio di promozione e tutela della piadina romagnola è a Rimini, lì hanno sede anche 12 delle 19 imprese associate. Che producono 300 milioni di piadine all’anno, solo il 20% Igp. «Se la ricetta l’hanno scritta gli industriali? No, abbiamo consultato cent’anni di storia – chiarisce il direttore Paolo Migani –. Abbiamo chiesto quel marchio altrimenti chiunque in giro per il mondo poteva chiamare piadina qualsiasi cosa».

Il Consiglio di Stato ha appena detto no anche all’Emilia. Insistono sugli stessi concetti all’Orva, che da Bagnacavallo produce da sola sui cento milioni di piadine all’anno. Il controllo dei controllori è garantito da Bioagricert, azienda di Casalecchio, nel Bolognese. Salvatore Sergi, coordinatore dell’Igp, spiega: «Non dobbiamo fare analisi e nemmeno verificare l’origine delle materie prime». Convinto che i chioschi alla fine entreranno nella grande famiglia europea.

Sarà. Al momento Sauro Rossini, che è riuscito a prendere 4mila euro di multa senza essere un piadinaro – fa il contadino-allevatore in una fattoria a Bagnacavallo, nel Ravennate – ha risolto in un altro modo. Orgoglioso: «La faccio fare, la farina è la mia. D’ora in poi si chiamerà piadina del Passatore».