Trivelle e petrolio, l'allarme dei pescatori

I pescatori: "Vogliono riattivare un vecchio pozzo". Anche il rigassificatore di porto Viro crea preoccupazione

Il rigassificatore di Porto Viro

Il rigassificatore di Porto Viro

Cesenatico (Cesena), 25 gennaio 2016 - UN NUOVO pozzo d’estrazione metano al largo di Cesenatico. L’ipotesi allo studio fa tremare i polsi a pescatori e ambientalisti della nostra costa, ma rappresenta un’opportunità economica per gli imprenditori.

Coinvolge anche Cesenatico, infatti, il braccio di ferro sulle trivellazioni in Adriatico. Da un lato ci sono gli interessi di chi fa affari con l’estrazione di gas e petrolio, ma dall’altro ci sono interessi che riguardano decine di migliaia di aziende operanti nel settore della pesca e del turismo balneare. Lungo l’intera penisola adriatica si stanno muovendo azioni di protesta molto forti.

Nel tratto di costa della provincia di Forlì-Cesena sono già presenti dei pozzi per l’estrazione del gas metano, così come ce ne sono di fronte alle coste delle altre province italiane, tuttavia in pochi sanno che anche il nostro territorio potrebbe essere interessato dal disco verde alle trivelle.

A renderlo noto è Mario Drudi, segretario della Cooperativa ‘Casa del pescatore’ di Cesenatico: «Si parla di ripristinare e riattivare un pozzo per l’estrazione del gas metano, situato a circa tre miglia dalla nostra costa – spiega nei dettagli –. Di ufficiale non abbiamo ancora ricevuto alcuna comunicazione, ma siamo fortemente preoccupati. Con le perforazioni in Adriatico noi abbiamo sempre convissuto, qualche problema con i pozzi metaniferi c’è stato per gli ostacoli alla navigazione e le aree interdette alla pesca, ma il petrolio è un’altra cosa. In caso di un incidente con conseguente danno ambientale, in Romagna morirebbe un intero territorio che vive di pesca e turismo. Inoltre sono da considerare i problemi inerenti la subsidenza e il dissesto idrogeologico. Per il momento l’inverno è mite, ma i disastri come le mareggiate e gli allagamenti dello scorso febbraio, sono dei campanelli di allarme ai quali noi non possiamo rimanere insensibili, anzi, dobbiamo dare delle risposte».

La questione ambientale dunque tiene banco, e a preoccupare i pescatori della nostra riviera non sono soltanto le trivelle. Ci sono infatti proteste per il rigassificatore in funzione dal 2010 a circa 15 chilometri dalla costa di Porto Viro e del Parco del Delta del Po.

L’impianto produce 8 miliardi di metri cubi di gas all’anno e da solo copre il 10 per cento del fabbisogno di metano in Italia, con un fatturato superiore ai 200 milioni di euro. Il sistema utilizza un procedimento industriale a ciclo aperto, cioè usa il calore dell’acqua di mare per riscaldare il gas, trasformandolo da liquido in aereo, e poi restituisce l’acqua al mare, quantificata in 32mila tonnellate al giorno. La massa d’acqua restituita al mare al termine della lavorazione ha una temperatura inferiore a quella di partenza di 4,7 gradi e, certificano dall’azienda, la sua concentrazione di cloro usato durante il processo di rigassificazione, rientra nei parametri di legge con una percentuale inferiore ai 2 milligrammi per litro d’acqua.

Tutto a posto dunque secondo gli esperti. E anche secondo il governo che ha rinnovato i permessi dell’impianto. Ma allora perché si pesca meno prodotto da quando c’è il rigassificatore? Sono tre anni che i marinai lo chiedono ma non hanno risposta. «Comprendiamo che vi siano poteri economici importanti – attacca Drudi –, ma il processo di rigassificazione di fatto sterilizza l’acqua, uccidendo tutte le forme animali e vegetali. Questo è innegabile, così come c’è una coincidenza preoccupante fra l’apertura dell’impianto e la pescosità diminuita drasticamente. Anche su questo problema esigiamo delle risposte».