Il punto di rottura

Roma, 30 settembre 2016 - LA DISPUTA referendaria sulla riforma costituzionale sta invadendo tutti i mezzi di comunicazione. I soliti talk show e la rete, ma anche programmi televisivi e radiofonici dedicati sono affollati da politici ed esperti che litigano e mentono sulle ragioni del Sì e del No. Librerie e rivendite straripano di titoli che “strillano” le ragioni del Sì e soprattutto quelle del No: tanto puntuali nelle contestazioni quanto reticenti sulle conseguenze politiche di una loro vittoria. Un po’ meglio su quotidiani e settimanali che alternano le opinioni degli attori in campo e quelle dei giornalisti fuori campo. Poca tecnica ma molto agonismo: un referendum che cambia la Costituzione e la legge elettorale è una posta troppo importante . Oltretutto il presidente del Consiglio legando la sua sorte politica all’esito della consultazione ha aggiunto all’appuntamento un carico da novanta. La notte del 4 dicembre potremmo trovarci senza riforma, senza legge elettorale e senza Renzi, o, viceversa, con un Renzi trionfante, una pessima legge elettorale e una nuova discutibile Costituzione.

INSOMMA, tutto congiura a tenere in sospeso l’opinione pubblica italiana e persino quella internazionale. Partner europei e ambasciatore americano unanimi e preoccupati si sono spesi per il Sì in nome della stabilità e delle riforme. Tuttavia, come hanno mostrato la Brexit e quel che sta succedendo nel continente, dall’Austria alla Francia all’Ungheria, non si direbbe che i pronunciamenti dell’Unione europea o di Obama gonfino di vento le vele dei vecchi partiti. Tutt’al contrario, tra le classi medie dell’occidente arrabbiato e urlante spira la bufera di un confuso populismo – di destra e di sinistra, protezionista e ribellista – che spinge quanti hanno perso il lavoro che avevano o la speranza di averne uno o il precedente tenore di vita contro le proprie élite, i rispettivi governi e le istituzioni sovranazionali. Nel clima mutato dal voto amministrativo e dai non buoni indicatori economici il presidente del Consiglio ha provato a disinnescare il meccanismo a orologeria che lui stesso aveva innescato. Ha accettato il consiglio di quanti – dentro e fuori il suo partito – lo hanno invitato a separare l’invisa legge elettorale e la discussa riforma costituzionale. Ha alzato la voce e poi negoziato decimali con l’Europa reclamando più flessibilità di bilancio per l’emergenza migratoria e sismica. Senza toccare una spesa pubblica che continua a crescere insieme col debito e il disavanzo ha promesso la quattordicesima ai pensionati più poveri in perfetta coerenza con la politica dei bonus e delle mance, mentre Istat e governo rivedevano al ribasso le previsioni di crescita. L’altra novità, questa sì stupefacente, della nuova legge finanziaria è l’invito che contiene a votare sì al referendum per garantire la stabilità! Al di là di meriti e demeriti, Renzi ha finora goduto del vantaggio incommensurabile dell’assenza di una seria alternativa. Tuttavia arrivano momenti in cui lo scontento tocca il punto di rottura e un semplice No diventa l’alternativa semplicemente perché è l’occasione per cambiare, quali che siano le conseguenze. Magari il ritorno alla proporzionale. Momenti in cui persino due storici rivali come Berlusconi e De Benedetti, entrambi nel recente passato mallevadori e simpatizzanti di Renzi, si schierino con il No alle sue riforme.