Romagna autonoma? Chiediamoci piuttosto se esiste l'Emilia

Andrea Fontana

Andrea Fontana

Bologna, 24 agosto 2017 - Il problema mica è stabilire dove inizia la Romagna. È capire dove finisce l’Emilia. E che cos’è l’Emilia. La Romagna ha un’identità: è un luogo fisico (macché stato dell’anima) all’interno del quale la diversità di paesaggi, attività e destini - terrosi e marinari, dispersi tra frutteti, barconi obesi, colline merlate e vele color ruggine – incredibilmente assume, vista da fuori, un’omogeneità culturale. La Romagna esiste. Casomai non è certo che esista, come figura unica, il romagnolo.  Esiste, per contro, l’emiliano. Ma l’Emilia? Invenzione post-risorgimentale, l’Emilia è un rebus risolto a suo tempo mettendo insieme tutto quello che, sotto il Po, non era romagnolo: la linea dei vecchi ducati, i duomi del romanico lombardo, le risaie, il delta. Con appiccicata là in fondo Bologna che, come vedremo, è un pianeta a parte.

Di preciso si sa che l’Emilia è un posto che ha molto a che fare con il fiume, la nebbia e i vini bruschi. La sai trapunta di città porticate dal passato di piccole corti, di circoli e caffè nei quali sono spuntati grandi scrittori che, di solito, la gente ritiene nati in altre parti d’Italia. Protetta, fin oltre Bologna, dalla barriera rocciosa e intricata degli Appennini, l’Emilia è Nord pieno, sicuro; la Romagna, dove le colline via via ruzzolano nel mare, è dolcemente collusa con il centro Italia. Si fonde in una macroregione adriatica della quale Bologna, con la sua università, è nel tempo divenuta Alma Mater, dalle Marche fin giù negli Abruzzi. 

Ecco, Bologna: fra i due mondi è luogo di crinale, il posto più incerto dove stabilire le cose. Figuriamoci i confini. Evidentemente non è Romagna, anche se girata da sempre verso i porti dell’Adriatico, da Venezia ad Ancona. Però i suoi distretti meccanici, eredi di una tradizione tecnica di telai e ruote idrauliche sorta specificamente sotto le due Torri, si sono trasmessi per contagio a ovest, da Modena a Reggio.

Per gli emiliani, comunque, Bologna non è Emilia, e non hanno tutti i torti. Ha passato secoli sotto il Papa, come Forlì o Ravenna; mentre da Modena in su, ma anche a Ferrara, si è orgogliosi delle proprie casate. Bologna vive un’identità chiusa e conclusa, riflesso del suo grande Medioevo da metropoli industriale oltre che universitaria: enclave a quei tempi, vagamente apolide, sul crocevia dei commerci e della scienza tra pianura padana e Mediterraneo. La sua neutralità è il motivo per cui non viene discussa come capitale della regione: alla sua destra come alla sua sinistra non è molto amata, ma non urta suscettibilità. 

A essere pignoli, dunque, non basterebbe dividere in due questa pianura che un’unica (lei sì) strada romana attraversa come una fucilata; dovremmo fare uno spezzatino, regalando pezzi qua e là. Meglio restare cuciti assieme, con le nostre toppe e il nostro spago. Lasciamo a Maroni e Zaia il gusto di giocare a un immaginario Lombardo-Veneto televisivo, nei fatti esistito a fatica poco più di quarant’anni e da sempre meticciato nei dialetti, come nella letteratura e nella cucina, con la nostra bastarda razza che vive ostinata sulla sponda destra del Po.