La Consulta e le veline

L’eterna questione del rapporto perverso tra giustizia, politica e informazione ha vissuto ieri un salto di qualità. Come fosse cosa naturale. Repubblica ha scritto che il professor Augusto Barbera ha poche chance d’essere eletto giudice costituzionale dal parlamento perché «è stato intercettato». Né condannato, né indagato; l’illustre costituzionalista è stato solo intercettato. E tanto basta per sfregiarne l’immagine. L’intercettazione uscì due anni fa. Si era da poco insediata la commissione dei saggi per le riforme istituzionali voluta da Napolitano e la procura di Bari stava indagando su presunti favoritismi nei concorsi universitari, ma dei 38 professori sotto indagine non uscì un solo virgolettato: le uniche intercettazioni diffuse (dalla procura e di conseguenza da Repubblica) riguardavano Barbera e altri quattro membri della commissione quirinalizia. Solo uno di loro ebbe conseguenze giudiziarie, ciascuno di loro pensò ad un’operazione volta a screditare il lavoro dei saggi. Sospetto legittimo. Insospettabile era che quel veleno continuasse ad essere rilasciato nel tempo, fino ad inquinare l’elezione dei tre membri della Consulta su cui, incurante degli appelli di Mattarella e dei radicali, il parlamento non riesce a trovare la maggioranza necessaria dei tre quinti da 521 giorni filati. Oggi si vota: se i partiti lasciassero cadere il nome di Barbera si consegnerebbero definitivamente agli umori delle procure e dei giornali che ne pubblicano le veline.