Perché continua ad esserci quel velo di silenzio, da parte delle tv e dei media, sulla vicenda del crac della più grande cooperativa rossa del nostro Paese? Perché la storia del fallimento della Coopcostruttori di Argenta, un miliardo di euro ai danni di tremila creditori, approdato da qualche settimana in tribunale a Ferrara, viene tenuta sotto traccia?

Inutile dire che il Carlino, da anni, ha deciso di tenere accesi i riflettori su quella che era la quarta società di costruzioni in Italia per giro d’affari. Un colosso, certo, ma anche l’emblema del legame organico tra coop rosse e il Pci-Pds. E di come il partito-padrone, alla fine, per bocca degli stessi dirigenti, abbia deciso politicamente di non salvarla. E la Lega delle cooperative le abbia negato il sostegno. Un doppio tradimento che brucia forse più dei soldi in fumo. Perché il destino di un’impresa che poggia su presupposti falsati, su un «fil rouge» nell’ottenere lavori senza confrontarsi con il mercato, è quello di finire male, prima o poi.

NON A CASO i primi guai sono arrivati con Tangentopoli, con il patron Donigaglia in manette. Allora ci fu una levata di scudi generale, indignazione, orgoglio. Oggi i vertici della coop sono a giudizio per associazione a delinquere e bancarotta di vario genere. Il patron Donigaglia lavora per una ditta di ascensori a Ragusa e, dopo l’udienza preliminare, ha disertato l’aula.

Oggi ci sono 20 imputati, compresa la controllata Cir, e il tribunale ha congelato case e beni personali per assicurarsi almeno due milioni di euro. I 3.000 creditori, se va bene, porteranno a casa la metà di quanto hanno versato in quella che era la loro cooperativa, la loro banca, il loro futuro. Per questo oggi i vecchi piangono di rabbia e manifestano per le vie di Ferrara con i cartelli, chiedendo che fine ha fatto la politica. Avevano l’orgoglio dei mezzadri diventati padroni, di quelli che avevano costruito la faccia pulita del profitto, etico e solidale, anche se tutti i mesi la loro coop tratteneva una fetta dello stipendio e alla fine anche la liquidazione. Bisognava lavorare per rendere più forte il sogno rosso. Non potevano immaginare che diventasse l’incubo di oggi.