Omicidio di Ravenna, Cagnoni resta in carcere. "L’accusa ha elementi da condanna"

Respinta la richiesta di scarcerazione. Durissime le parole del Riesame

Matteo Cagnoni

Matteo Cagnoni

Ravenna, 16 ottobre 2016 - C’È «LA SUA FIRMA» sul luogo del delitto. Uguale a custodia in carcere. È quanto il tribunale del Riesame di Bologna ha deciso per Matteo Cagnoni, il 51enne dermatologo accusato di avere ucciso a bastonate in testa la moglie, la 39enne Giulia Ballestri, all’interno della loro villa disabitata di via Genocchi. Un omicidio compiuto la mattina del 16 settembre scorso per il quale – secondo l’ordinanza a firma del giudice Alberto Albiani – gli elementi raccolti sin qui dall’accusa sono suddivisibili in tre parti, ciascuna «di per sé giustificativa di sicura prognosi di condanna».

A INCASTRARE il 51enne – prosegue l’ordinanza – ci sono varie impronte lasciate sul sangue di lei. Una in particolare è quella sulla quale più si insiste: è del palmo della mano sinistra ed è stata isolata dalla polizia scientifica su un vecchio frigorifero a un metro e mezzo circa di altezza: ecco «la firma» alla quale si riferiscono i giudici. Si tratta di un’impronta lasciata da una mano insanguinata e che solo chi ha massacrato la 39enne avrebbe potuto imprimere.

Ma c’è un secondo elemento forte di traverso tra Cagnoni e la scarcerazione. Perché il 51enne poco dopo la mezzanotte del 18 settembre e poco prima che la polizia andasse a fermarlo nella villa paterna di Firenze, ha inviato due messaggi a Ravenna – a un’amica e alla segretaria – dimostrando di sapere della morte della consorte tanto da avere usato frasi esplicite di questo tipo: «un grosso guaio» e «una tragedia». Peccato che fino a quel momento – rilevano i magistrati – nessuno glielo avesse detto, «segno evidente e inconfutabile della sua responsabilità».

Il Riesame si spinge oltre questi due elementi rilevando che se anche i pm Alessandro Mancini e Cristina D’Aniello non li avessero raccolti, «la dimostrazione della colpevolezza del Cagnoni» la si può raggiungere tramite una terza via che si snoda attraverso tutti gli indizi fin qui incamerati.

A PARTIRE dall’interrogatorio fiume a cui si era sottoposto il 21 settembre davanti al gip di Firenze. In quello, lui stesso aveva ammesso di essere andato con la moglie la mattina del delitto alla villa per esaminare alcuni quadri di valore. Ma di esserne uscito assieme alla donna verso le 10 e di averla vista l’ultima volta alle 12.15 al parcheggio sotto casa. Strano però che né la postina né la domestica ricordino di averla vista a quell’ora. E strano che alla domestica fosse stata data l’incombenza di preparare le valigie per i tre figli in partenza con il padre per Firenze quando invece a occuparsene era sempre stata la 39enne. Ancora più strano è che la madre non si fosse affacciava nemmeno per salutare i bimbi.

PER I GIUDICI del Riesame la spiegazione è chiara: a quell’ora lei era già stata uccisa. E a farlo era stato il marito, «geloso e possessivo», ossessionato dal «gravissimo discredito sociale» che gli sarebbe piovuto addosso non appena si fosse saputo che la moglie voleva separarsi perché da mesi aveva un altro. Anzi, l’aggressione di Cagnoni al nuovo compagno di lei dell’8 agosto scorso, era stata solo un capitolo «della cronaca di una morte annunciata».