Lunedì 29 Aprile 2024

Il colpo di grazia

Andrea Cangini

Andrea Cangini

Bologna, 5 dicembre 2014 - Il colpo di grazia l’ha dato il prefetto di Roma. Già la cronaca del malaffare capitolino ha offerto al mondo l’immagine di un Paese allo sbando, dove a reggere sono solo le vecchie affiliazioni criminali. Poi il prefetto Pecoraro ci ha messo del suo adombrando, e non disponendo, il commissariamento del Comune per infiltrazioni mafiose e sostenendo che il sindaco Marino rischi la vita. Trattandosi di Roma e non di Casal di Principe, si può immaginare la prima reazione di istituzioni internazionali e investitori stranieri: alla larga dall’Italia, paese infetto sin dalla Capitale. A ringraziare è il sindaco, la cui esistenza era fino a ieri minacciata dai romani insoddisfatti e rinato invece a nuova vita politica grazie alla qualifica di solitario argine a quel malaffare di cui fino ad oggi pare non essersi accorto. Questione romana? No, questione nazionale. La ‘romanità’ dei fatti, il ‘Romanzo Criminale’ e la presenza di ex terroristi neri rendono la storia facilmente raccontabile. E di sicuro impatto. Ma al netto del folklore locale e degli echi cinematografici accade a Roma quel che è accaduto altrove: si percepiscono i segni di uno Stato inefficiente, dove il prefetto dà pubblicamente la linea al ministro pur senza decidere nulla; si assiste all’emersione del solito comitato d’affari trasversale.

Sempre stato un potere debole, quello dello Stato italiano. La cui ossatura è storicamente rappresentata dai comuni: il potere locale che dà sostanza al potere nazionale. Ebbene, il potere locale è in crisi. Non tante singole crisi cittadine, ma un’unica, gigantesca, crisi di sistema. E poiché è dai tempi del Pci che la sinistra italiana si è radicata sotto i campanili comunali, questa crisi investe sopratutto il Partito democratico, che con Matteo Renzi ha ora l’urgenza di ridisegnare la mappa del potere non solo a livello centrale ma soprattutto a livello locale. Il primo campanello d’allarme è risuonato a Siena quando i magistrati entrarono al Monte dei Paschi mettendo in ginocchio la città simbolo della sinistra finanziaria. Qualcosa di simile è accaduto a Genova, dove l’arresto del presidente della banca Carige, Giovanni Berneschi, ha messo in luce un sistema che per conto degli ex Ds ha in Claudio Burlando il proprio astro calante. Anche a Genova l’intreccio riguarda massoneria, ambienti vaticani e coop rosse: cioè tre delle quattro colonne che da cinquant’anni reggono, nell’ombra, lo Stato italiano. La quarta è la mafia. 

Ora evocata, forse impropriamente, a Roma. A Genova è emerso lo stesso sistema di potere messo in luce dai magistrati veneziani nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti del Mose e da quelli milanesi che hanno indagato sull’Expo. Scattano dunque le manette, vacillano le giunte. E se al Nord e al Centro la crisi del sistema è conclamata dalle inchieste giudiziarie, al Sud è resa ufficiale dal caos amministrativo che trova nella Napoli di Luigi De Magistris la propria punta più avanzata. I magistrati fanno il loro dovere, ma è la politica a dover riformare il sistema. E la politica, oggi, si chiama Matteo Renzi. Il quale, per ridisegnare la mappa del potere locale ridando così sostanza al potere nazionale, deve scardinare il malaffare da sempre incistato nei gangli amministrativi delle grandi città. Servono forza, volontà politica e sindaci all’altezza. Non se ne vede traccia.