Domenico, l'ira della madre contro gli amici: "Ora basta vigliaccherie, dite la verità"

La donna a caccia di indizi sulla morte del figlio 19enne in gita: rileggo i suoi diario

Domenico Maurantonio

Domenico Maurantonio

dall’inviato Lorenzo Sani 

Padova, 22 maggio 2015 - SONO TRASCORSI undici giorni dalla notte che ha capovolto l’esistenza di una tranquilla famiglia padovana, dirigente di banca lui, insegnante di italiano e latino lei, ma ancora non vi sono certezze su cosa sia realmente accaduto al quinto piano dell’hotel Leonardo Da Vinci di Milano. La sola cosa tragicamente certa, è che il loro unico figlio, lo studente 19enne Domenico Maurantonio, non c’è più. Strappato ai suoi cari, il padre Bruno e la madre, Antonia Comin, lasciati senza un perché. Non hanno mai creduto all’ipotesi del suicidio, per quel salto nel vuoto di 20 metri, neppure a quella della caduta accidentale. Di una cosa Antonia è sicura e vi puntella la determinazione di madre ferita a morte. «Basta reticenze», dice ai compagni che hanno condiviso con suo figlio l’ultima, maledetta, notte di vita. «È il momento che si assumano le responsabilità. Domenico ha il diritto di avere giustizia, lui non avrebbe mai avuto comportamenti omertosi, né mai avrebbe fatto ad altri scherzi dalle conseguenze pesanti come quelli che ha dovuto subire lui».

Ha elementi per pensare a uno scherzo degenerato in tragedia?

«Diciamo che ho un’idea molto negativa di tutta la faccenda, ma ho sempre evitato di parlarne. Se gli amici sono davvero tali, devono sentire nella loro coscienza il dovere di essere solidali. Devono farsi carico di questa esigenza di verità, che peraltro molto presto emergerà nei suoi tratti definiti».

Cosa li può aver frenati dal dire tutto ciò che sanno e hanno visto?

«Vigliaccheria e coscienza sporca, le prime cose che mi vengono in mente. Non vedo altro».

Domenico si era già ritrovato nel mirino dei compagni?

«Sto riordinando tutti i suoi appunti. Fin dalle medie emergono con chiarezza i valori in cui crede: Domenico indica la famiglia, l’amicizia e l’onestà. Non mi ha mai parlato di vessazioni, o cose del genere, ma tutto è possibile e le cause possono essere tante, l’invidia, le rivalità».

Parliamo di bullismo?

«Direi piuttosto nonnismo da caserma: rende maggiormente l’idea. Qui vicino ho il trolley con le cose che mio figlio si era portato via e che non possiamo aprire. La valigia è stata rifatta dal professore di Scienze Motorie. Dentro allo zainetto aveva tre libri, non tredici bottiglie di vodka. Voglio dire che anche tutto questo bere di cui si è favoleggiato, non è in linea con i suoi comportamenti. Non vivo su Marte, sono insegnante, trascorro coi ragazzi la maggior parte delle giornate. Domenico era trasparente, ci dicevamo tutto, era molto sincero. Se tardava mi chiamava sempre».

Come si trovava in classe?

«Non ha mai dato giudizi particolarmente negativi, né particolarmente esaltanti. Frequentava pochissimi amici, in linea di massima gli stessi con cui è cresciuto fin dalle medie se non dalle elementari. Poi c’era Anna, l’amica del cuore. È falso che fossero in crisi, hanno cenato insieme anche la sera prima della partenza per la gita. Si frequentavano da tre anni, dalla seconda liceo. Sta vivendo un dramma enorme, poverina. Però ha 18 anni, sono sicura che troverà la forza per reagire».

Lei ha espresso parole durissime nei confronti della scuola dopo la tragedia. Le ribadisce?

«Certamente, perché c’è un discorso che riguarda la vigilanza in gita».

Lei non ci va con i suoi studenti?

«È capitato lo scorso anno, ma avevo deciso sarebbe stata l’ultima volta. Ed erano ragazzi di quinta, affidabili. Atti come quelli che ha subito mio figlio non si sono mai verificati. Se c’è il minino dubbio sull’affidabilità dei ragazzi, non si deve andare. È troppo rischioso».

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