Mercoledì 24 Aprile 2024

Presidenziali: ballottaggio in Brasile, primo turno in Uruguay E i governi di sinistra tremano

Domenica di elezioni nei due Paesi sudamericani. Dilma Rousseff cerca la riconferma, a Montevideo si va alle urne per il successore di 'Pepe' Mujica

Dilma Rousseff, presidente del Brasile (Ap)

Dilma Rousseff, presidente del Brasile (Ap)

Roma, 26 ottobre 2014 - Due Paesi del Sudamerica vanno oggi alle elezioni presidenziali. Quelle in Brasile daranno obbligatoriamente il risultato definitivo, essendo il turno di ballottaggio; quelle nel vicino Uruguay potrebbero essere interlocutorie perché nessuno dei candidati sembra potere aspirare alla maggioranza assoluta fin dal primo turno. Due situazioni solo apparentemente diverse in Paesi completamente diversi. Uno enorme, un continente, il Brasile, con i suoi 143 milioni di elettori e oltre 200 milioni di abitanti, entrato nelle prime dieci economie mondiali, pur con nuovi problemi all’orizzonte. L’altro molto più piccolo, con una popolazione di 3,2 milioni di abitanti e una economia che stenta a decollare, pur se ha fatto passi da gigante con il governo Mujica.

Dicevamo di situazioni politiche che accomunano i due Paesi. Sia il Brasile sia l’Uruguay escono da due governi di sinistra, con Dilma Rousseff a Brasilia e con Josè Mujica a Montevideo. sembrano i tempi in cui il continente latino americano era il “giardino di Washington“ quando cioè la Cia decideva chi saliva al potere e quando il risultato non era quello sperato istigava colpi di Stato di destra. Ma sia in Brasile sia in Uruguay la conferma delle maggioranze non è così semplice da pronosticare.

Il caso brasiliano è emblematico: dopo due presidenze Lula, l’ex operaio fondatore del Partito dei lavoratori che nel 2010 non poté ripresentarsi per legge, la delfina Dilma ha governato quattro anni in bianco e nero, anche perché l’economia mondiale ha molto frenato da quando il Pil brasiliano crebbe di quasi l’8% nel 2010. Quest’anno la crescita sarà di un zero virgola, con il rischio di arrivare molto vicini allo zero e basta, nonostante i campionati mondiali di calcio e i molti lavori realizzati. Ma la situazione sociale, che con Lula si era caratterizzata per una crescita costante e soprattutto per una forma di riappacificazione nazionale che sembrava esaltarsi, nell’ultimo periodo si è di nuovo afflosciata e i narcos, per esempio, hanno ripreso a infestare le favelas metropolitane di Rio de Janeiro e San Paolo, la polizia le ha dovute di nuovo militarizzare e gli indiani dell’Amazzonia continuano a vedersi negare i diritti alle loro terre. Sul mancato ambientalismo di Dilma ha calcato molto la mano Marina Silva, che sperava di andare al ballottaggio; la verde Marina, ex analfabeta, ex del Pt e ora socialista, ha dato il suo appoggio al liberista Aecio Nevesnipote del primo presidente eletto alla fine della dittatura nel 1985 e morto il giorno prima del suo giuramento per una operazione mal eseguita in ospedale (sulla morte di Tancredo però i dubbi non saranno mai dissolti); Neves è l’uomo della finanze e delle banche e del mercato internazionale, benvoluto negli Stati Uniti, malvisto dai governi progressisti del Sudamerica. Nella campagna elettorale lo scontro con Dilma, fino al duello tv di venerdì sera, è stato durissimo, e quando si è spostato dalle visioni del futuro economico e sociale (il marxismo di Dilma, il liberismo di Aecio) alla gazzarra è stato fin troppo acceso. Aecio accusa Dilma di avere sempre taciuto i suoi legami con lo scandalo che ha travolto molti esponenti del Pt accusati di avere comprato deputati dell’opposizione (il “mensalao”), scandalo che non ha mai toccato né Lula né Dilma, ma soprattutto di essere nel mezzo delle mazzette Petrobras, le truffe fatte attraverso la compagnia petrolifera statale, i cui vertici sono starti azzerati proprio per questo. Dilma nega qualsiasi legame con l’inchiesta in corso e minaccia querele. 

I sondaggi hanno ballato su queste diverse interpretazioni: all’inizio Aecio aveva preso il sopravvento anche perché l’appoggio di Marina sembrava davvero decisivo, e veleggiava sopra il 51 per cento di intenzioni di voto; ma l’ultima rilevazione ha riportato avanti Dilma, accreditata del 53%. Ma solo lo scrutinio ci dirà davvero che cosa accadrà. Comunque la sinistra trema. Come trema quella uruguaiana, nonostante 'Pepe' Mujica sia stato "il presidente degli ultimi" e abbia cercato di dare un salario soddisfacente a chi non lo aveva. Il Frente Amplio, la coalizione al governo dal 2005, viene accreditato del 43% e quindi Tabaré Vazquez, successore in pectore del “presidente più povero del mondo“, sarebbe costretto al ballottaggio del 30 novembre con Luis Lacalle Pou, del Partido Nacional, detto "il bianco", di centrodestra, accreditato del 32%. Il terzo incomodo sarà Pedro Bordaberry, di un’altra formazione di centrodestra, il Partido Colorado, o, stranamente, “rosso“: il suo 16% destinato al ballottaggio a Lacalle (il cui padre Luis Alberto è stato presidente fra il 1990 e il 1995) potrebbe pesare sul risultato finale, anche perché il candidato del Nacional nella sua campagna elettorale ha dichiarato di “superare le ideologie, riconoscere le conquiste della sinistra, ma iniziare una nuova fase sociale ed economica oltre le parti“. Un messaggio che sembra avere interessato anche elettori del Frente Amplio e quindi il risultato è davvero in bilico. Anche a Montevideo la sinistra trema, dunque, ma in questo caso avrà ancora un mese per preparare le contromosse (a meno di clamorosi successi al primo turno), mentre la partita che si gioca a Brasilia è decisiva e non si può più scherzare.