Il preside dello scientifico sul burqa: “La nostra legge non garantisce sicurezza”

Samuele Giombi interviene nella querelle

Burqa (Foto Ansa)

Burqa (Foto Ansa)

Fano, 1 marzo 2015 – «La questione del velo integrale, cioè burqa – scrive Samuele Giombi, preside dello Scientifico – può essere analizzata da più punti di vista: il significato di certe tradizioni e dell’adesione ad esse; il rapporto tra libera scelta della donna o eventuale imposizione esterna; le leggi della società per buon ordine e convivenza. In Italia esistono due principali norme di riferimento: il Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (art. 85: “è vietato comparire mascherato in luogo pubblico”); e le Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico (art. 5 si dice che “è vietato l’uso di caschi protettivi o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo”).

Inoltre, il Ministero dell’interno, nel 1995 ha autorizzato l’uso del copricapo nelle fotografie destinate alle carte d’identità di cittadini professanti culti diversi da quello cattolico, purché risultino ben visibili i tratti del viso. Secondo il Consiglio di Stato, la legge 152/75 consentirebbe che una donna indossi il velo per motivi religiosi o culturali e le esigenze di pubblica sicurezza sarebbero soddisfatte dal divieto di utilizzo in occasione di manifestazioni e dall’obbligo di sottoporsi all’identificazione e alla rimozione del velo, ove necessario. Resterebbe la proibizione del Regio Decreto all’articolo 85 mai abrogato. Ma gran parte della giurisprudenza tende a vederlo riassorbito nella successiva legge. Forse è troppo poco per garantire la sicurezza ed evitare diffidenze e tensioni? Credo di sì. In Francia e Spagna la legislazione è molto più rigida».