Nigeriano ucciso a Fermo, l'etichetta sbagliata

Il punto

Nigeriano ucciso a Fermo, il luogo dove è avvenuta la rissa (Foto Zeppilli)

Nigeriano ucciso a Fermo, il luogo dove è avvenuta la rissa (Foto Zeppilli)

Fermo, 9 luglio 2016 - Trovandomi momentaneamente a circa mille km da Fermo, dopo aver pregato per Emmanuel Chidi Namdi e aver sentito tanta rabbia dentro per lo spirito violento di Amedeo Mancini, mi sono sentito tutto ad un tratto disorientato. Da lontano, ho letto e ascoltato di una Fermo e di una provincia completamente diverse da quelle che conosco da 54 anni. Possibile che in 28 anni di professione non abbia capito che dovevo scrivere e che vivevo in un territorio razzista?

Colleghi sicuramente più bravi di me, con l’esperienza degli inviati, sono arrivati, si sono guardati intorno, hanno fatto un paio di domande e subito hanno capito, classificato ed etichettato: un nigeriano è morto anche perché Fermo e il Fermano nascondevano un animo razzista e hooligans in stato di libertà. 

Con l’umiltà di un cronista di provincia, che ha sempre cercato di raccontare quello che vedeva, dosando le parole, rispettando le persone e non nascondendo mai le verità scomode, evidenziando soprattutto i tantissimi episodi e le numerosissime persone che ogni giorno danno esempi concreti di integrazione, faccio fatica a spiegare alla gente siciliana e ad altri turisti come me con i quali da alcuni giorni commento quanto accaduto nella mia terra, che non meritiamo l’etichetta di razzisti.

So, da qui, che il sindaco Calcinaro e altri stanno cercando di farlo capire a questi inviati-imparati, sono sicuro che anche don Vinicio Albanesi starà raccontando di quanti aiuti può contare ogni giorno per le sue attività e dei suoi colleghi sacerdoti di colore, parroci e vice parroci nella diocesi, seguiti con convinzione da intere comunità paesane nel dare dimostrazione continua di vicinanza e di aiuti a ‘non italiani’ di ogni tipo.

Ma se ciò non bastasse, mi permetto di invitare questi colleghi - ai quali magistrati, forze dell’ordine e autorità sanitarie hanno messo a disposizione (con una facilità mai riservata all’informazione locale, ndr) referti e archivi per capire e giudicare - di farsi un giro, prima di ripartire, a Porto Sant’Elpidio, per rendersi conto di quante prostitute straniere si possono incontrare ogni notte, a Lido Tre Archi o nella riviera fermana, per vedere come gli spacciatori extracomunitari vendano ai ragazzi locali droga di ogni tipo. Se avessero qualche giorno in più di tempo potrebbero anche informarsi su una crescente criminalità di un certo stampo che si è oramai infiltrata da queste parti.

Sto raccontando ai turisti che incontro e ai siciliani dove mi trovo che a Fermo e nel Fermano i piccoli imprenditori sono stanchi di tornare in fabbrica al mattino e e ritrovarsi con il magazzino di scarpe svuotati dai pendolari del furto, che tutti i residenti non ne possono più di rientrare a casa o di risvegliarsi al mattino e di trovare le case svaligiate, che in questa provincia non si capisce perché ancora non si riesce a debellare definitivamente il fenomeno della prostituzione.

I fermani hanno apprezzato che sia arrivato il ministro dell’Interno, ma avrebbero gradito che, oltre a presentarsi giustamente per condannare l’omicidio, avesse portato con sé il provvedimento di istituzione della questura o che, per scusarsi di aver lasciato il territorio quattro mesi senza prefetto, mostrasse la circolare con la quale assegnava una ventina di poliziotti e carabinieri in più sul territorio o disponeva che la notte in servizio non rimanesse più una pattuglia unica per due province.

Se tutto ciò che io sto facendo capire a turisti e siciliani, agli inviati presenti a Fermo ancora non bastasse, li inviterei a farsi un giro sempre a Tre Archi per vedere come 50 e passa etnie diverse possono vivere senza disturbi violenti o spedizioni per spazzarle via. Peccato che le scuole siano chiuse, altrimenti a San Tommaso o a Montegranaro potrebbero conoscere classi dove gli alunni italiani sono in minoranza e perfettamente integrati con i compagni d’origine non indigena. E, comunque, potrebbe bastare che facessero quattro chiacchiere con l’imam del Fermano, uno dei più carismatici in Italia, per farsi dire se la comunità musulmana si sente integrata e se nelle fabbriche vengono lanciate forme di scarpe contro gli stranieri perché rubano il posto ai fermani.

Dove vi trovate ora, cari autorevoli e infallibili colleghi, c’è una forte mancanza (come, purtroppo, in tante altre parti) dello Stato, ma state calpestando una terra ospitale, anche con gli stranieri, che vanta centinaia di esempi associativi di spirito umanitario, che condanna per prima l’insensatezza del gesto di Mancini, una terra dove si lavora e si suda 12-15 ore al giorno e dove il volontariato di ogni genere supplisce al grande vuoto statale. Da cronista momentaneamente lontano da Fermo, sperando che nessuno dimentichi mai il dolore e la rabbia di questi giorni e che ci sia vera giusitizia, mi permetto di invitare i giornalisti inviati a cancellare l’etichetta di zona razzista. Il Fermano non lo è e non lo merita.