Nigeriano ucciso a Fermo, c'è un'altra super testimone

Amedeo Mancini piange in carcere: "Scimmia? Non pensavo fosse grave"

Fermo: Amedeo Mancini, accusato di aver ucciso il profugo nigeriano (foto Zeppilli)

Fermo: Amedeo Mancini, accusato di aver ucciso il profugo nigeriano (foto Zeppilli)

Fermo, 11 luglio 2016 - E’ ancora rinchiuso in carcere Amedeo Mancini, il fermano di 39 anni indagato per l’omicidio preterintenzionale, con l’aggravante degli insulti razzisti, di Emmanuel Chidi Namdi, il rifugiato politico nigeriano ospite del centro di accoglienza di don Vinicio Albanesi. Chi ha avuto modo di vederlo lo descrive come una persona disperata, distrutta dal dolore, che piange spesso.

Mancini sembra non capacitarsi di quello che è accaduto, ma anche di non rendersi conto del perché tanto accanimento nei suoi confronti. Agli investigatori ha confessato che la parola scimmia faceva parte del suo vocabolario in quanto, da piccolo, lui stesso era soprannominato così: «Gli amici mi chiamavano scimmia, ma non l’ho mai considerato un insulto grave. Non ho nulla contro gli immigrati. Anzi ne ho ospitati diversi a casa mia quando non sapevano dove dormire».

Intanto diventano due i supertestimoni che confermano la violenta reazione nei confronti dell’ultrà della Fermana con un segnale stradale da parte di Namdi. C’è un’altra donna, ritenuta attendibile dal sostituto procuratore di Fermo, Francesca Perlini, che ha assistito alla rissa e che parla chiaramente dei colpi sferrati con il paletto metallico che hanno abbattuto l’ultrà fermano, prima della sua reazione fatale. La sua testimonianza risulta nei verbali degli inquirenti che sono inequivocabili.

«Dopo essere scesa dall’autobus – si legge nel documento – la donna ha udito delle urla provenire dalla via sottostante dove notava parlare animatamente due persone di colore e Mancini. Riferiva che il ragazzo di colore iniziava a spintonare Mancini e, dopo aver preso un segnale stradale mobile, ivi presente, lo colpiva con il medesimo alle gambe, facendolo cadere a terra. Dopo ciò il ragazzo di colore si allontanava, ma veniva raggiunto da Amedeo Mancini e tra i due iniziava una scazzottata a seguito della quale l’uomo di colore rovinava a terra. Aggiungeva inoltre di aver sentito dire dal ragazzo, che si trovava in compagnia di Mancini, le seguenti parole rivolte all’amico: «Lascia perdere, c’è una donna, non reagire, c’è una donna».

Un versione quella fornita dalla donna che collima con quella dell’altra testimone, anche questa presente nei verbali della Procura della Repubblica, che ha dichiarato «di aver visto l’intera scena in cui vi erano tre soggetti, due di colore e uno di carnagione bianca, che litigavano animatamente e si scambiavano dei colpi. In particolare descriveva che l’uomo di colore sferrava dei colpi tipo mosse di karate verso l’uomo di carnagione chiara e la donna colpiva quest’ultimo con le proprie scarpe, urlando verso di lui: ‘chi scimmia, chi scimmia?’. Dopodiché notava l’uomo di colore prendere un segnale stradale munito di pedana e zavorra e, dopo averlo sollevato, spingerlo contro l’uomo di carnagione chiara, colpendolo ad una spalla e facendolo cadere a terra. Infine notava che l’uomo di carnagione bianca colpiva con un pugno quello di colore, facendolo rovinare a terra».

Le due testimonianze sono tenute nella massima considerazione dal sostituto procuratore Perlini che scrive nel provvedimento di fermo emesso: «Le dichiarazioni sono da ritenersi di sicura credibilità, poiché persone estranee ai fatti in quanto distanti in termini di parentela e conoscenza sia dalla persona offesa sia dall’indagato».