Venerdì 26 Aprile 2024

L’arcivescovo Negri: «Qui volevano una Chiesa silente»

La nostra intervista, 21 mesi dopo l’insediamento: «A Ferrara mentalità reazionaria. Ma è bello assistere al risveglio di molte famiglie»

Monsignor Luigi Negri: è morto l'arcivescovo di Ferrara

Monsignor Luigi Negri: è morto l'arcivescovo di Ferrara

Ferrara, 21 dicembre 2014 - Monsignor Negri, qual è il bilancio di questi 21 mesi in questa arcidiocesi?

«C’è l’aspetto positivo, anche se attuato non senza fatica, talora grande, di aver ridato consistenza all’identità di popolo della Chiesa di Ferrara, irriducibile a qualsiasi altra istanza di carattere culturale, sociale, pietistico o, come diceva papa Benedetto, a pratiche di carattere spirituale o a meri progetti di carattere caritativo-sociale. E’ stato impegnativo ma la chiarezza della proposta ha pagato sia nella realtà ecclesiale che nel popolo che frequenta la Chiesa, ma anche negli uomini di buona volontà».

Perché è stato faticoso?

«Perché, all’interno del mondo ecclesiastico, ho dovuto vincere le resistenze di chi diceva ‘si è sempre fatto così’ e di chi voleva una Chiesa silente. E’ stato faticoso ma oggi si percepisce una capacità nuova di comunione col vescovo e di dialogo».

Uscendo dall’ambito ecclesiastico lei ha parlato spesso di ‘pensiero unico’ anche a Ferrara...

«Sì. L’altra grande resistenza è infatti quella di carattere ideologico, favorita da un disimpegno sociale e politico della Chiesa, come se la Chiesa fosse stata convinta nel tempo a delegare ad altri le funzioni socio-politiche. Ebbene, io ho cercato di lavorare per far capire che c’era invece un cammino unitario che va dalla fede alle opere, investendo della fede anche le realtà dell’impegno culturale, sociale e politico».

Persiste questa resistenza?

«Persiste la resistenza da parte di quelli che chiamerei i funzionari dello status quo, non in senso istituzionale. Ma registro con soddisfazione una grande partecipazione su vari temi di carattere politico, dalla questione dei martiri al gemellaggio con Erbil, dalle cellule staminali all’omofobia o all’ideologia Gender. E assisto al risveglio di tante famiglie che, di fronte al tentativo statalista e autoritario di assumere l’impegno della educazione, che per me è diseducazione, dei nostri bambini e ragazzi, si sono opposte. L’aspetto più grave di questa città è la sua conservazione, è una città in un certo senso reazionaria».

In che senso reazionaria?

«E’ una città dove ti chiudono la bocca dicendo ‘si è sempre fatto così’ ma questo non è altro che il mantenimento indolore di una realtà che non si ha il coraggio e la forza di mettere in discussione. Dentro e fuori la Chiesa».

Un ricordo bello di questi anni?

«Il consenso popolare e la partecipazione alla mostra sui presepi di Giovanni Paolo II nel palazzo vescovile, di cui ringrazio gli organizzatori. Più di 10mila persone in 5 giorni che, per la prima volta, sono entrate nel palazzo che non è solo la casa dell’arcivescovo ma anche del popolo cristiano. E poi la grande solidarietà quando abbiamo esposto il segno dei Nazareni, mi ha riempito il cuore».

E il ricordo più brutto?

«La polemica sulla movida, quando fui accusato di non saper parlare ai giovani. A me che ho passato più di 50 anni della mia vita a stare in mezzo a loro, nei luoghi della loro aggregazione. Molti dei miei critici non avevano mai parlato ai giovani se non durante le elezioni o nelle sedi di partito».

In questi 21 mesi ci sono stati anche il caso di Erik Zattoni e di un sacerdote condannato per violenza sessuale, da lei sospeso a divinis. Una riflessione?

«Mi sono prodigato perché Zattoni andasse oltre la sua comprensibile reattività, avevo chiesto un incontro in Vaticano ma credo che il papa preferisca fare incontri nelle zone in cui va in visita. Dovesse venire a Ferrara magari questo incontro si farà. Comunque ho invitato papa Francesco per la festa di San Giorgio, che è il 23 di aprile. L’altra questione è altrettanto complessa: bisognerebbe avere discernimento nel momento della immissione in seminario e nei momenti successivi, essere attenti a certe smarginature. E invece la Chiesa ha sottovalutato il peso di certe tendenze».

A che punto è il recupero delle chiese danneggiate dal sisma?

«Noi viviamo ancora una tragedia, quella della espropriazione di una tradizione che si esprimeva anche nella straordinaria bellezza artistica di luoghi agibili. Moltissime persone non hanno più questi luoghi dove vivere la vita della comunità e molti soffrono per questo. Le istituzioni non devono cincischiare: non posso dire che le cose siano state fatte male fino ad ora ma con una lentezza acuita da una burocrazia intollerabile!».