Carife, le cifre ‘choc’ dei tre anni di commissariamento

Patrimonio dilapidato: dai 384 milioni di attivo del 2012 al deficit di 433 milioni di novembre 2015

Carife (Foto Businesspress)

Carife (Foto Businesspress)

Ferrara, 13 aprile 2016 - Una ‘forbice’ da 817 milioni di euro: è quella che, in meno di tre anni, riassume in pochi numeri la crisi, apocalittica, della vecchia Carife. Passata da un patrimonio netto di 384,5 milioni di euro al 31 dicembre 2012 ad un deficit patrimoniale stimato in 433 milioni di euro alla vigilia del contestato decreto salvabanche.

Tre anni attraversati da polemiche, accuse, ricorsi legali, iniziative giudiziarie e impugnazioni; tre anni in cui s’è consumato soprattutto il dramma dei risparmiatori, ancora in ansia per i possibili ristori da parte del governo.

Ma andiamo con ordine, sviscerando soprattutto i numeri. In attesa che sia reso palese il bilancio di fine commissariamento (già peraltro trasmesso alla Banca d’Italia), le cifre significative trapelano comunque da documenti ufficiali. Buon ultimo il decreto di insolvenza della vecchia Carife, che fissa in 433 milioni di euro il deficit patrimoniale al 22 novembre 2015: in realtà il ‘buco’ sarebbe ancor più consistente, pari a 492,8 milioni di euro ma da questa cifra vanno detratti innanzitutto 25,6 milioni di euro per i cosiddetti ‘elementi di classe 2’ computabili nei fondi, quindi 34 milioni di euro di obbligazioni subordinate.

A questo punto il flashback: il patrimonio netto al 31 dicembre 2012, in base all’ultimo bilancio ufficiale (quello di fatto impostato sotto la vigilanza di Bankitalia, i cui ispettori all’epoca erano ancora virtualmente all’opera in corso Giovecca), era di 384,5 milioni di euro. Di lì a pochi mesi, lo choc del commissariamento: uno choc che si è riverberato in maniera pesantissima anche sui conti della banca. Com’è noto, il patrimonio netto al 31 marzo 2015 era precipitato a 11,4 milioni di euro (soprattutto per la svalutazione delle ‘sofferenze’): questo il dato portato all’attenzione dell’assemblea dei soci, che il 30 luglio dello scorso anno aveva approvato una delibera dove le speranze degli azionisti, pur al lumicino, erano quelle di un recupero negli anni. E dove la parola ‘azzerati’, per i ferraresi, esisteva soltanto nel vocabolario.

Eppure dal calderone del commissariamento, invece dell’auspicata pozione magica, ecco uscire la mela avvelenata: la verifica operata al 30 settembre 20915 parlava di un patrimonio diventato negativo per 24 milioni e mezzo di euro, e perdite ulteriori di lì a fine anno per poco meno di 12 milioni di euro.

In pratica, solo dal marzo al settembre dello scorso anno il deficit accumulato in corso Giovecca era di oltre 6 milioni di euro al mese. Una somma stratosferica, per molti inspiegabile, per qualcuno non imputabile soltanto agli ex amministratori nei confronti dei quali è scattata l’azione di responsabile (con conseguente richiesta di sequestro dei beni); nell’impugnazione al decreto di insolvenza, c’è perciò anche chi chiede di rimuovere la sostanziale ‘immunità’ di cui godono gli uomini di Bankitalia, e verificare se la gestione dell’istituto cittadino non potesse essere riportata in bonis.

Da ultimo, un aspetto sin qui marginale e apparentemente teorico: la rivalutazione delle azioni di Banca d’Italia di proprietà di Carife. Se la partecipazione, anziché a 23 milioni e 725mila euro, fosse stata rivalutata al valore massimo, avrebbe potuto essere iscritta a bilancio una plusvalenza di oltre 319 milioni di euro. E’ evidente che così la storia di Carife avrebbe preso, forse, tutto un altro corso.