I chiostri di San Benedetto tra erbacce e cumuli di macerie

Allarme degrado nel complesso monastico del Cinquecento

Erbacce nei chiostri

Erbacce nei chiostri.

Ferrara, 26 maggio 2015 - Qualche turista ignaro che si azzarda a chiedere, ogni tanto si trova. Dopotutto le vecchie guide suggeriscono di visitare «l’ex Monastero di S. Benedetto che racchiude due grandiosi chiostri cinquecenteschi». Che fine abbiano fatto è sotto gli occhi di tutti. Senza però poter andare più in là di un’inferriata, oltre la quale lo sfacelo corre indisturbato (FOTO): i prati della corte interna dove nel dopoguerra nacque la gloriosa coppa di calcio ‘Don Bosco’ sono infestati da erba alta ormai un metro; il pozzo da una parte, e la grande cisterna seicentesca dall’altra, sono irraggiungibili a meno di spedizioni avventurose.

Spostarsi per i loggiati animati dai ragazzi un tempo del collegio salesiano, e poi di oratorio e contrada, è un percorso ad ostacoli: cumuli di macerie in serie, buchi, e un albero di fico che cresce spontaneo in un angolo. Le colonne quadre che danno nome al primo chiostro sono qua e là sgretolate, i cotti d’ingresso alla sala capitolare deteriorati.

Davanti a simile scempio ci si sente addirittura rincuorati entrando nell’antirefettorio del monastero, dove i lavabi in pietra del ‘500 resistono circondati dal degrado, e si intravede il soffitto affrescato nel 1578 con la «Gloria del paradiso», provvidenzialmente incerottato nel 2004 per evitarne la rovina. Tra i ritratti velati c’è perfino l’Ariosto.

D’altro canto, i chiostri paiono vittima di un contrappasso invincibile: più se ne parla, peggio vanno. Nel «documento politico-programmatico per il governo della circoscrizione GAD» (anno 1995) si proclamava di «valorizzare il complesso architettonico, portando a compimento il recupero dei chiostri, nonché della struttura deputata all’accoglienza degli studenti universitari». Sì, perché restano ancora le carte (1991) del progetto di riconversione a studentato, che poi l’università ha ricavato quasi in faccia ai chiostri, in via Ariosto.

Pure il conservatorio pensò a lungo di insediarsi, senza trovar mai appoggi convinti. Nel 2007, i giornali titolavano sui «chiostri dimenticati» per qualche sbriciolamento di pareti. Ancora non immaginavano le voragini nella pavimentazione, dentro cui avanza adesso una vegetazione rigogliosa.

La parrocchia s’era mossa «per togliere la polvere al passato» ambientandoci un paio di via Crucis e i suoi mercatini, e ci si doleva dell’incuria del verde ma in fondo la circoscrizione badava allo sfalcio. In quell’estate si ricordano per giunta quaranta serate tra cene, concerti, e spettacoli vari. Un’età dell’oro, col senno di poi.

Eppure già allora era nato il comitato di salvaguardia dei chiostri, al quale aderirono in molti, non ultimo Giorgio Franceschini, padre di Dario. «Siamo rimasti in quattro», fa la conta Giuseppe Gorini, uno degli inossidabili che spera nella rinascita del complesso. L’ultima è di circa un mese fa: «Abbiamo incontrato Daniele Ravenna, figlio del compianto Paolo, che è funzionario al Mibact incaricato di valutare eventuali interventi. L’unica ipotesi fattibile è che l’agenzia delle entrate sposti gli uffici oggi in affitto di via Maverna. Il progetto costerebbe meno di quello della scuola di formazione prevista».

Già, l’agenzia delle entrate che, acquistato il bene dal demanio nel 2008, a quello scopo aveva messo a bando nel 2013 13.600.000 euro di lavori, salvo vederli svanire per via della revisione della spesa pubblica. E ora? Il peggio deve ancora venire?