Si fa presto a dire razzisti

Ferrara, 28 ottobre 2016 - Chi ha a cuore non solo la vita delle persone (tutte) ma anche il buon nome di questa terra e della sua gente, da sempre ospitale e solidale, non avrebbe certamente voluto assistere allo show di lunedì sera a Gorino. Quelle barricate, le urla, gli scontri - evitati solo dal buon senso delle forze dell’ordine - e i visi smarriti di quelle donne (non c’era alcun bambino, sia detto una volta per tutte) resteranno a lungo impressi nelle nostre coscienze e purtroppo anche sulle prime pagine dei giornali d’Italia. Tuttavia se la reazione dei gorinesi è stata comprensibile ma non condivisibile, il solito coro degli indignati che ha immediatamente espresso la propria vergogna (lanciando anche l’immancabile hashtag, perché un hashtag non si nega a nessuno) e che si è subito lanciato in giudizi sprezzanti sulla popolazione arrabbiata («razzisti!», «ignoranti!») ha provocato una certa nausea. Sì, perché accanto alla buona fede di molti, tra i moralisti della tastiera c’erano anche molti cosiddetti professionisti del solidarismo che ce l’avevano soprattutto con la mobilitazione leghista.

Sia chiaro, la Lega ha giocato duro e senza troppi scrupoli, cavalcando il malcontento dei gorinesi. Ma come sempre occorre domandarsi perché quella gente ha chiamato (e invocato) i ‘Naomi’ e non altri. Non credo, infatti, che gli abitanti di Goro - il cui sindaco è espressione del Pd - siano diventati improvvisamente tutti pericolosi leghisti con la bava alla bocca! Così come non credo che la stessa popolazione che - è stato giustamente ricordato - nel ’51 aiutò gli sfollati del Polesine alluvionato, sia divenuta d’emblée razzista.

La verità, è che prima di distribuire etichette di razzismo, i ‘fighetti’ della città avrebbero dovuto tenere conto di vari aspetti. In primis la specificità di Goro e Gorino, «territori di confine, tra il mondo e l’infinito mare - prendo a prestito l’analisi del fotografo Andrea Samaritani - una civiltà antica, che ha subìto soprusi, angherie, derisioni da parte di tutti, da secoli». Gente operosa, che sa cosa sono la fatica e il duro lavoro, che convive con l’incertezza e con l’isolamento, anche culturale. Ghettizzarli ora non serve. L’idea di boicottare le loro vongole folle. Tutti aspetti di cui avrebbero dovuto tenere conto anche le autorità preposte alla gestione dell’emergenza. Non li vogliamo giustificare ma capire, evitando sociologismi salottieri. I più prudenti, nel baillame di condanne, sono stati il premier Renzi e il vicario della diocesi: cauta stigmatizzazione delle barricate ma nessun giudizio affrettato. Per il resto, un profluvio di facili moralismi e manicheismi: da una parte i buoni e puri, dall’altra i cattivi ignoranti. Due pesi e due misure, come con Capalbio: nella chiccosa località toscana il «no» è comprensibile mentre nella nebbiosa Goro è «inaccettabile».

La realtà è che l’accoglienza non può essere imposta da un giorno all’altro. Questa è la lezione di Gorino. La gente - già di suo esasperata dalla crisi e da una politica di accoglienza priva di un progetto e di risorse adeguate - chiedeva solo di essere coinvolta, accompagnata e preparata. Mi sembra il minimo. E a chi tira in ballo le parole - censurabili e sopra le righe - urlate da qualcuno quella brutta notte, ricordo che si legge di peggio in alcune discussioni sui social. Anche tra i ferraresi doc. In un quadro così fosco, appare come una luce in fondo al tunnel il lavoro che, smaltito il trauma, sta portando avanti il sindaco di Goro Viviani, di concerto con il presidente della Provincia Tagliani e altri, per ricucire lo strappo e dimostrare che sì, nel profondo Delta, ora è anche possibile accogliere i migranti.