Ferrara, l'inaugurazione del Meis. "Un dedalo pieno di tesori"

Il curatore degli allestimenti: "Emozioni anche senza effetti speciali". Il pubblico girerà tra reperti, video, opere d’arte

Giovanni Tortelli ha curato l’allestimento della mostra d'inaugurazione del Meis

Giovanni Tortelli ha curato l’allestimento della mostra d'inaugurazione del Meis

Ferrara, 12 dicembre 2017 - «Non è una mostra che strizza l’occhio ai visitatori, ma nemmeno un evento per soli studiosi o persone colte: si entra, ci si immerge nel percorso, si esce incuriositi e stimolati ad apprendere». Il Meis è un brulicare di operai, tecnici, curatori, architetti: a due giorni dall’inaugurazione della grande mostra, Giovanni Tortelli scansiona ai raggi X ogni dettaglio.

Il suo studio ha avuto l’onore, e l’onere, di curare l’allestimento del primo evento del nuovo museo.

«Bisognava contemperare vari elementi, impegnativi: contenuti scientificamente rigorosi e dall’impatto emotivo non sempre facile. Poi il luogo, l’ex carcere, che doveva perdere la propria durezza, diventando in qualche modo irriconoscibile. Infine l’idea che questa mostra sia, di fatto, la prova di un museo temporaneo, con soluzioni e materiali fatti per durare: fondali di metallo, stampe a caldo, riproduzioni curate nei dettagli».

Il visitatore è accolto dall’enorme fregio dell’arco di Tito, che raffigura la deportazione degli Ebrei a Roma. Di fatto, l’inizio della storia millenaria.

«Si parte, in realtà, da una sala dove vengono proiettate immagini di deserti, fortemente evocative: è è da lì che tutti veniamo. Dal Golan, da un Mediterraneo antico e spoglio, teatro di un viaggio lungo, faticoso quanto affascinante. Poi, sfruttando l’ampiezza della prima sala al secondo piano, portiamo i visitatori nel clima degli imperatori Flavi, Vespasiano e Tito. Qui, indubbiamente, il colpo d’occhio è forte. Ma non ci sono effetti speciali! (Tortelli sorride, ndr)».

Si procede come in un dedalo, tra frammenti di video, frammenti di reperti, ambientazioni magistralmente ricreate come le catacombe.

«Questa alternanza serve a tenere alta l’attenzione del pubblico, garantendone il coinvolgimento senza togliere nulla alla scientificità della mostra, alla preziosità dei documenti, delle opere d’arte, degli oggetti. Come dicevo, non è una mostra da tempo libero, anzi va meditata, e in molti punti letta come si fa con un libro impegnativo: il nostro obiettivo è renderla fluida, consentendo anche a chi non ne conosce appieno gli argomenti di coglierne, senza mai scoraggiarsi, lo straordinario significato».

Qualcosa che ha colpito anche lei, pur immerso in tanti contenuti della mostra.

«Nella sala nove, ci sono citazioni di Ambrogio, vescovo di Milano, e Gregorio Magno, il papa della celebre bolla che proibì di vituperare gli ebrei. Leggendo, si scopre la durezza e una certa intolleranza del celebre santo meneghino».

Questo, mi scusi, è argomento da studioso, non da architetto.

«Le ho detto che questa mostra è impegnativa. Noi abbiamo cercato, però, di renderla anche motivante da un punto di vista estetico. Un compito arduo: è senz’altro più facile esporre qualche Caravaggio che frammenti di marmo o piccole lanterne, ma sono certo che i visitatori resteranno sicuramente affascinati».