Ferrara, 15 dicembre 2009 - "Quell’inchiesta va riaperta, lo Stato italiano deve dirmi chi ha ucciso mia sorella. Denis Occhi è stato assolto? Bene, allora trovatemi l’assassino perché Giada non può essersi ammazzata da sola". Sono trascorsi più di cinque anni (era il 25 novembre 2004) da quando Giada Anteghini, 26 anni, venne colpita alla testa mentre dormiva nella sua casa di Jolanda di Savoia e rimase in coma 14 mesi prima di morire. In primo grado venne condannato a 20 anni l’ex marito Denis Occhi poi assolto in appello.


Un caso giudiziario arrivato alla ribalta di tv e giornali nazionali ma che oggi non ha ancora colpevoli. In tutto questo tempo nessuno è riuscito a stabilire chi entrò in via Colombara Nuvolè quella notte con la precisa volontà di ammazzare. "Sono andato in televisione — racconta il fratello Simone —, abbiamo parlato con la parlamentare Alessandra Mussolini, abbiamo cercato un contatto con il ministro Angelino Alfano ma non si è mai mosso niente. La nostra legge è quella che è, sono schifato di essere italiano".
Il suo è un affondo durissimo, quello di una persona che ha tentato in ogni modo di far emergere la verità. "La giustizia, mi chiedo tutti i giorni, dov’è? E non ditemi che è uguale per tutti, una grande balla. Non ho mezzi e soldi per andare avanti, per arrivare al colpevole: questa non è certo giustizia. Chi ha soldi va avanti, chi non li ha rimane fregato come sempre. Se non è stato Occhi ad ammazzare mia sorella, allora lo Stato deve trovarmi chi l’ha colpita".
 

Trentuno anni compiuti, oggi Simone vive e lavora a Ferrara: "Quasi ogni giorno — dice — vado a pregare sulla sua tomba e le chiedo di aiutarmi a capire chi è stato. L’inchiesta deve essere riaperta, ricominciamo dall’inizio io e la mia famiglia ne abbiamo diritto. Siamo italiani, paghiamo le tasse come tutti gli altri, non siamo cittadini di serie B. Perché in Italia esiste una diversità enorme tra i due gradi di giudizio? Vent’anni in primo grado, assoluzione in secondo. E’ possibile questo?".
 

Una parola commossa Simone la rivolge a Nicola Proto, il pm che portò a termine l’inchiesta ed arrivò alla condanna di Occhi. "Lo ringrazio e lo ringrazierò sempre, il dottor Proto è stato molto vicino a tutti noi". Ora, confida, lo vorrebbe incontrare nuovamente. "Mi piacerebbe molto e credo proprio che lo farò per capire se esistono margini per riaprire il caso. Voglio il colpevole, sono pronto a tutto per mia sorella".


NESSUN COLPEVOLE DOPO CINQUE ANNI

Era la notte tra il 24 e il 25 novembre 2004: Maurizio Fiore (il convivente di Giada) dopo una serata trascorsa con gli amici tornò a casa. Trovò la porta d’ingresso spalancata, la serratura forzata, chiamò la ragazza senza avere risposte. Corse nella stanza matrimoniale, scoprì Giada con la testa fracassata. Il sangue dappertutto. Per quel fatto, oltre all’ex marito Denis Occhi, anche Fiore finì sul registro degli indagati. Ma da quell’incubo si svegliò qualche mese più tardi quando i giudici lo ritennero totalmente estraneo alla vicenda. La sua vita inevitabilmente cambiò fino alla tragica fine, il 16 ottobre del 2006, quando si schiantò con la moto in una strada di Migliarino dove perse la vita.


L’attenzione si spostò su Occhi. Lui, 34 anni, soggetto definito "personalità borderline" e "socialmente pericolosa" da una perizia psichiatrica, condannato a 20 anni in primo grado poi assolto definitivamente dalle accuse di aver ucciso la sua ex moglie, tornò alla ribalta ad inizio anno confessando, e poi smentendo per l’ennesima volta, di essere il colpevole. "Denis Occhi è una persona che attualmente è seguita dall’azienda Usl — spiegò il suo avvocato — ed è ospitata presso un centro che si prende cura della sua sopravvivenza. Questo è un ragazzo che va seguito dai servizi sanitari e sociali, non servono misure poliziesche ma semplicemente va recuperato dal punto di vista medico".
 
La sentenza d’appello, con la quale Occhi il 27 febbraio 2008 venne assolto, oggi è diventata irrevocabile perché il procuratore generale presso la Corte d’Appello di Bologna non ha mai proposto un ricorso per Cassazione. Per questo il 34enne di Migliaro non potrà essere processato nuovamente per quell’omicidio nonostante la confessione (la quarta in ordine di tempo) resa il 2 gennaio scorso in questura. "Ho colpito mia moglie in un raptus per tre, quattro volte all’altezza della testa — disse ai poliziotti — con l’utensile che tenevo nella mano destra. Poi sono scappato verso Migliaro portandomi dietro quell’attrezzo". Una confessione piena di particolari, che il giorno dopo lo stesso ritrattò - come aveva fatto in altre occasioni - affermando di aver parlato per far contenti i poliziotti.